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Nela: “I Friedkin non parlano mai, hanno lasciato strategie comunicative a Mourinho”

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Sebino Nela, ex giocatore della Roma campione d’Italia nel 1982/83, ha rilasciato un’intervista a Il Messaggero parlando a 360° di sé stesso e dei giallorossi. Queste le sue dichiarazioni:

Nela è stato calciatore, opinionista sportivo e dirigente: a un passo dai 61 anni, quali sono ancora le aspirazioni?
«Mi piacerebbe occuparmi di calcio in modo serio, con un incarico di responsabilità nel quale mettere a disposizione il bagaglio di una vita. Sono passati diversi tram. Ho ricevuto diverse promesse: “Sebino, sto pensando a te”, e poi sparivano. Nel privato, mi piacerebbe visitare paesi dove non sono mai stato: Australia, Canada e soprattutto Nuova Zelanda. Amo il rugby, gli All Blacks e sono incuriosito dai maori».

Dove non tornare?
«Negli Stati Uniti. Non mi piace la cultura di quel paese. Non mi piace l’arroganza di un popolo che si crede superiore e vuole dare lezioni di civiltà al resto del mondo».

Il luogo migliore per vivere?
«L’Europa, con le sue lacerazioni e le sue contraddizioni. Credo in un’Europa che abbia un senso per tutti e in cui i diritti nazionali abbiano maggior rilevanza. E poi naturalmente l’Italia, con le sue problematiche».

Nela arriva a Roma nel 1981 per giocare fino al 1992. Poi ci torna nel 1994, dopo aver chiuso con il Napoli.
«Non ho mai lasciato Roma. Sono arrivato in questa città 41 anni fa, ci ho costruito la mia vita affettiva e personale. Fa male vedere la sua bellezza millenaria degradata: colpa degli amministratori incapaci e dei cittadini incivili».

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Ha giocato nella Roma più bella e più vincente della storia: dal 1980 al 1986 uno scudetto, quattro coppe Italia, la finale di Coppa dei Campioni persa con il Liverpool.
«Eppure la sconfitta che fa più male è quella con il Lecce: una follia, contro una retrocessa e dopo essere passati in vantaggio. Il ko con il Liverpool fu duro da digerire perché fu un’occasione irripetibile: la finale di Champions in casa. Ma non ho mai odiato il Liverpool perché era una grande squadra e la città di Liverpool ricorda Genova. Noi sbagliammo molto: la preparazione, l’approccio, la tensione a mille. Il Liverpool si allenò al mare, in modo scanzonato».

Quali furono le ragioni di quel ciclo della Roma?
«Un presidente illuminato, un ottimo allenatore, una squadra di grandi giocatori, un grandissimo capitano».

Viola?
«Un fuoriclasse. Costruì nel tempo una squadra di alto livello, aggiungendo ogni anno una o due pedine importanti».

Liedholm?
«Un allenatore con grandi intuizioni. Mi prese alla Roma dal Genoa appena promosso in serie A. Giocavo difensore centrale, ma disse subito che mi vedeva esterno. Aggiungo tre nomi. Di Marzio: mi insegnò quasi tutto. Simoni: un signore. Radice: bella persona. L’anno del Flaminio e del quinto posto fu una delle stagioni migliori».

Di Bartolomei.
«Un punto di riferimento. Lo stimavo tantissimo. E mi ha fatto piacere sapere che anche lui aveva affetto per il sottoscritto. Conservo ancora la dichiarazione di Marisa Di Bartolomei».

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Rapporti con gli ex di quell’epoca?
«Abbiamo una chat per tenere i contatti. Ogni tanto si organizzano cene».

Tutti d’amore e d’accordo?
«Mah, ci sono diversità di opinioni, come è naturale che sia. C’è chi si è speso più per gli altri e c’è invece chi ha pensato a se stesso».

Talvolta, parlando con gli ex in generale, molti lamentano il fatto di essere stati dimenticati dai club.
«Non basta il curriculum da calciatore per ricoprire un ruolo in una società. Bisogna studiare. Io ho seguito tutti i corsi possibili».

Il giudizio sulla Roma di Pallotta?
«A Roma sono passati fior di giocatori, ma sono stati rivenduti. La Roma avrebbe potuto vincere una Champions tenendo i migliori, ma quando vivi sull’import export, ottenere risultati è dura».

La Roma dei Friedkin?
«Non parlano mai, ma questa è la loro strategia da quando sono arrivati. Si sono fidati e affidati alle straordinarie doti di un grandissimo comunicatore come Mourinho».

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La squadra da seguire in Italia?
«L’Atalanta. E’ un esempio per le competenze sportive e per la gestione finanziaria del club».

Il calcio estero?
«L’intensità della Premier. La sostanza della Bundesliga. In parte la Liga, anche se ha perso colpi. La Ligue 1 non mi prende».

Nela in poche parole?
«Un uomo libero che convive con le sue fragilità».

Il vento in faccia, rilanciando il titolo del libro scritto da Nela con Giancarlo Dotto, è ancora forte?
«Il vento mi accompagna sempre. Qualche volta si placa, quasi un refolo. All’improvviso si rialza e mentre sale, ti aspetti la tempesta. È la mia vita».

FOTO: Credits by Shutterstock.com

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