Le decisioni del Governo mettono all’angolo il calcio italiano, altro che mondo dorato e raccomandato. C’è il serio rischio che la serie A non riapra in tempo per concludere i campionati.
Le date dell’ultimo decreto hanno scatenato polemiche e reazioni, con l’aggiunta delle dichiarazioni poco concilianti del ministro dello sport Spadafora (“Il protocollo per la ripresa della A per i membri del Comitato tecnico-scientifico non è ancora sufficiente”): il 4 maggio allenamenti individuali, solo il 18 maggio in gruppo.
Siamo al limite, tempo quasi scaduto e ieri il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina si è speso per lanciare un appello al Governo, pacato ma sotto certi aspetti disperato e drammatico.
“Lavoriamo per far ripartire il calcio in sicurezza, non per farlo ripartire e basta. La nostra Commissione medico-scientifica ha stilato un protocollo molto rigoroso, ma siamo pronti a integrarlo e a modificarlo, recependo le indicazioni del Comitato tecnico scientifico che deve ascoltarci”.
Una volta migliorato il protocollo, ci potranno essere tutti i presupposti per il via libera definitivo. “Ho convocato il Consiglio Federale per l’8 maggio proprio per delimitare il perimetro regolamentare nel quale operare – ha aggiunto Gravina -. Lavoriamo insieme, da squadra; il calcio è un settore molto importante per il Paese, sia sul piano sportivo sia dal punto di vista produttivo e occupazionale“. Prova ne sia che ieri l’Uefa ha erogato 236,5 milioni di euro per sostenere le 55 federazioni europee affiliate.
Alla preoccupazione di Gravina hanno fatto da contraltare le parole durissime della Lazio e del suo diesse Igli Tare: “C’è stata un’apertura per gli allenamenti individuali, non per noi calciatori. Noi abbiamo un nostro centro sportivo, ma non possiamo andare sul campo regolarmente per allenarci tenendoci a distanza. Assurdo. La verità è che siamo stati discriminati dal ministro Spadafora“. Dichiarazioni di guerra che forse in tanti tra i club di serie A condividono, ma che di fatto ieri sono state ignorate dalle grandi società. Oggi, altra battaglia.
(Leggo)
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