I numeri stagionali della Roma e la narrazione che generano sono difficilmente sovrapponibili. La squadra di José Mourinho ha 9 punti in meno rispetto a un anno fa (10 se si considerasse il punto tolto a tavolino), con la squadra di Fonseca al 4° posto, scrive La Gazzetta dello Sport.
Nella stagione di esordio dello stesso Fonseca, inoltre, la Roma era 5a e con 4 punti in più. Non sorprende perciò, come potete vedere a fianco, la media punti di Mou dal 1999-2000 in poi – l’inizio dell’era Capello – è appena la nona fra i 14 che si sono seduti sulla panchina giallorossa.
Sensazioni? Se la guida tecnica non avesse la storia calcistica dello Special One, a questo punto staremmo già parlando di rischio esonero e vari corollari. L’ultimo licenziamento, quello di Di Francesco, è avvenuto infatti, proprio dopo la 26acon la Roma 5a, a 3 lunghezze dalla zona Champions e con 3 punti in più rispetto a quella di Mourinho con risultati del genere, dell’elenco dei timonieri del Terzo Millennio, probabilmente si sarebbe dato credito solo a un totem come Don Fabio e a Spalletti.
Invece, la stragrande maggioranza dei tifosi della Roma – di sicuro quella “rumorosa” di radio e social – continua ad avere piena fiducia su Mourinho, anche se nessuno si sarebbe aspettato di vivere una stagione così travagliata, con un espressione di gioco spesso modesto a prescindere dalle diverse scelte tattiche, il tutto certificato dall’8° posto in classifica, cioè fuori dall’Europa.
Ovvio, però, che il carisma è una qualità fondamentale per sedere in panchina, e il portoghese ne ha in quantità, così come una strategia comunicativa che lo pone quasi sempre al riparo dalle critiche. Lo certifica l’ostilità manifesta agli arbitri, che compatta dietro di lui gran parte del tifo, pronta da sempre a sentirsi in credito col Palazzo. Che il leader della protesta sia uno degli allenatori protetti dal potere economico-politico di club leader nei rispettivi Paesi come Porto, Chelsea, Inter, Real Madrid e Manchester United non è vissuto neppure alla stregua di paradosso storico.
Ovvio che per una proprietà silente ma solvente – sono 534,8 i milioni investiti finora nel club dalla famiglia Friedkin – avere un grande comunicatore come Mourinho può essere un formidabile ombrello, utile a difendere un progetto previsto su base triennale. A Trigoria, però, che non si nascondono che il gran seguito popolare dello Special One può avere un effetto boomerang.
La strategia mediatica del portoghese, infatti, ha avuto finora due soli bersagli: gli arbitri “nemici” e la squadra modesta. Se sul primo fronte gli attacchi al Palazzo sono tollerati, i giocatori rappresentano gli “asset” con cui costruire il futuro in due modi: confermandoli o vendendoli per reinvestire. La “svalutazione” mediatica, perciò, non agevola il lavoro di Pinto, che peraltro in estate ha avuto a disposizione il budget più alto della Serie A.
Morale: qualora i risultati continuassero a non arrivare, il malumore dei tifosi si potrebbe appuntare o sulla proprietà (“rea” di non investire quanto serve per accontentare Mourinho) o su Tiago Pinto (“reo” di scegliere giocatori non da Special One). Come la si guardi, una visione troppo manichea della situazione che non serve a nessuno. Soprattutto a una Roma ancora alla ricerca di una identità.
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