Novantotto minuti assurdi, poi l’urlo di Abraham: la verità di una partita senza storia viene ristabilita solo all’ultimo colpo di pallone, grazie al Var che concede il rigore alla Roma e cancella la sensazione di un sortilegio, scrive il Corriere dello Sport.
Mai, per qualità e controllo del gioco, Mourinho aveva visto una squadra così performante e autorevole. Eppure lo Spezia, rimasto in dieci alla fine del primo tempo, l’aveva quasi sfangata perché la sfortuna e l’imprecisione degli attaccanti romanisti avevano impedito allo 0-0 di schiodarsi dalla propria incomprensibile posizione.
Trentuno tiri verso la porta, quattro legni colpiti compresi i due nell’azione decisiva, e soprattutto un indice dei gol attesi (expected goals) di 4,36 contro 0,37. Se il calcio fosse una scienza esatta, la Roma avrebbe dovuto vincere 4-0. Il lato positivo è che ci sia riuscita, sia pure ansimando al minuto 99, ritrovando il sorriso dopo oltre un mese e tornando in area euro. Il lato negativo è la prospettiva: non sempre si può trovare l’occasione risolutiva all’ultimo tiro. Certe partite, dominate in ogni zona del campo, devono essere sistemate in tempi più rapidi.
Mourinho, squalificato (ha visto la gara sul pullman della Roma, con un tablet, insieme ai suoi collaboratori), ha azzeccato molte mosse, compresa quella che sembrava ininfluente nel recupero del secondo tempo: sostituendo Mkhitaryan con Bove ha obbligato l’arbitro Fabbri (insufficiente) a prolungare la sfida. E un minuto in più ha fruttato due punti in classifica. Dettagli? Forse c’è di più.
Corretta era parsa anche la strategia, nonostante l’esclusione di Zaniolo: il 3-4-1-2 del primo tempo era armonico, vispo ed equilibrato. Con il giovane Zalewski, alla prima da titolare, e con il migliore Cristante della stagione, la Roma ha preso subito in mano la pratica. Già in undici contro undici la differenza era stata netta, per il palo di Pellegrini e non solo.
Lo Spezia esce arrabbiato, protestando per l’espulsione di Amian che l’ha costretto a difendersi in inferiorità numerica per un tempo, ma non avrebbe meritato il pareggio: a parte un’occasione di Nzola, ha faticato a superare la metà campo. Bravo è stato il portiere Provedel a ritardare una sentenza annunciata. Lo ha fatto nel primo tempo fermando Pellegrini e Abraham nella stessa azione ma anche dopo l’intervallo quando la pressione della Roma è salita di livello.
Mourinho ha tolto Mancini, incauto nella solita ammonizione, e spolverato Zaniolo, che si è piazzato sulla trequarti accanto a Pellegrini: 4-3-2-1, inedito come il modulo iniziale, con Mkhitaryan ad affiancare Cristante e Veretout e il piccolo Zalewski, poi sostituito da El Shaarawy, terzino sinistro puro. Una squadra quasi illogica nella sua proposta offensiva, alla quale si è aggiunto addirittura Shomurodov per un 4-2-3-1 esagerato. Thiago Motta da parte sua difendeva con il 4-4-1, contando i minuti che lo separavano dall’impresa.
E’ finita con un tiro a segno. Servirebbero due pagine di giornale per raccontare tutte le occasioni non capitalizzate dalla Roma. Zaniolo, indemoniato a casa sua, aveva dato la scossa in termini di ritmo anche prima di prendersi la scarpata in faccia da Maggiore. Aveva mandato in porta Veretout, aveva esaltato Provedel. Il gol è mancato, visto che ha colpito due traverse di fila mentre il Var esaminava il fallo da rigore, ma la reazione perfetta alla panchina no. E la Roma respira, stravolta quanto felice: stavolta niente polemiche, solo un boato liberatorio.
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