NOTIZIE AS ROMA MKHITARYAN – Nella pancia della Sardegna Area, a fine gara, Paulo Fonseca non ha avuto neanche un dubbio nell’indicare il migliore in campo: «Micki è stato il giocatore determinante per la nostra vittoria».
Già, anche se poi Henrikh Mkhitaryan determinante è tornato ad esserlo da un po’ nell’ultimo periodo. Basti pensare alle ultime tre partite, quelle contro Lecce, Gent e Cagliari. Questo Mkhitaryan qui è praticamente da dieci e lode. E lo dicono anche i numeri, che poi sarà una coincidenza ma forse fino a un certo punto.
Con il gol e l’assist di Cagliari i numeri del trequartista armeno stanno diventando sempre più belli. Perché quella giocata in Sardegna per Micki è stata la decima partita (delle 17 totali) da titolare con la Roma. Ma, soprattutto, con il gol e l’assist piazzati contro i rossoblù Mkhitaryan è già entrato in ben dieci gol della Roma, con sei reti e 3 assist. Considerando, appunto, che le partite dal via sono state solo dieci e le altre 7 dei piccoli spezzoni (anche a causa dei tanti infortuni), allora si capisce che tipo di incidenza abbia avuto (e può avere) il fantasista armeno.
Tra l’altro, Henrikh si è raccontato anche in una lunga intervista rilasciata al blogger russo Savin. Dove è partito proprio dalla scelta della Roma. In extremis, quasi a mercato chiuso. «Il primo settembre, due ore dopo aver giocato con l’Arsenal, Raiola (l’agente, ndr) mi ha detto di prendere il primo volo per Roma. È successo tutto molto in fretta. A 30 non hai più tempo da perdere, devi andare avanti. Gli obiettivi iniziali erano di entrare tra le prime quattro, andare in finale di Coppa Italia e andare avanti il più possibile in Europa. A Roma la gente vive di calcio, è molto bello. E la pressione per me non è un problema. Almeno alla mia età, dopo aver giocato con United e Arsenal. Il mio obiettivo è giocare fino a 37 anni. Poi potrei fare l’allenatore, il dirigente o il procuratore. Devo ancora pensarci».
Poi Mkhitaryan ha ripercorso un po’ tutte le tappe della sua vita. Iniziando dai no (milionari) rifilati ai russi negli anni passati. «Lo Shakthar aveva una reggia al posto del centro sportivo, non c’era motivo per andare allo Spartak. Il mio sogno era l’Europa. E per inseguirlo ho rifiutato anche tanti soldi da parte dell’Anzhi. Quanti? Un po’ meno di Eto’o, quasi 20 milioni».
La sorella Marina, però, ammette che in futuro potrebbe essere proprio la Russia la sua terra: «Henrikh la ama, potrebbe andare a giocare lì». Poi Micki parla dello United e dei conflitti con Mourinho: «È stato l’allenatore più difficile della mia carriera, con lui ho avuto divergenze e conflitti. Ma giocare allo United è un’occasione che ti capita una volta nella vita. Non mi pento di nulla, passare poi all’Arsenal è stato come coronare il mio sogno da bambino». Quindi un passo indietro, con il Borussia e Klopp: «È come un padre o un fratello, quando ho lasciato Dortmund ho iniziato a capire il calcio».
La vita di Henrikh è stata segnata dalla morte precoce di papà Hamlet, una autentica star in Armenia: «È stato difficile, non capivo dove fosse, mi chiedevo perché non era con noi. La sua scomparsa mi ha spinto a puntare sul calcio». Diventando per l’Armenia anche più importante del padre: «Il problema è che gli armeni non hanno voglia di imparare, giocatori e allenatori sono pigri. Le persone in Armenia si svegliano e sperano di trovare un milione di dollari sotto il cuscino. Se l’Azerbaijan mi ha minacciato? Sì, molte volte. Ma io non gli do attenzione. E sono molto orgoglioso di essere armeno».
(Gazzetta dello Sport)
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