C’è l’incognita della puzza. Non solo la spirale maleodorante che avvolge di giorno in giorno le sorti della giunta comunale di Virginia Raggi, tra assessori che cadono e guerre intestine all’interno del Movimento 5 Stelle. A un tiro di schioppo dal luogo in cui il presidente della Roma Calcio, James Pallotta, e l’imprenditore Luca Parnasi vorrebbero costruire il nuovo stadio della Roma, funziona, simbolo e presagio, un mega depuratore delle fogne romane.

Quando tirano ponente o libeccio, nubi mefitiche accarezzano i quartieri più a Est di Decima, del Torrino e dell’Eur. Nel gergo fognario dei documenti la puzza del depuratore viene nobilmente definita “emissione odorigena”, ma la sostanza non cambia. Terrorizzati, gli abitanti dell’area si chiedono cosa potrebbe accadere se il depuratore, già scricchiolante, dovesse assorbire il prodotto di alcune nuove migliaia di sciacquoni in azione a Tor di Valle, l’area che dovrebbe ospitare il nuovo stadio da 60 mila posti. E tre grattacieli alti 200 metri di uffici, negozi, ristoranti e svaghi vari. In altre parole, la più maestosa operazione immobiliare concepita a Roma negli ultimi decenni, culla di sfrenati appetiti speculativi, giochi di consenso politico, pressioni e centinaia di milioni di euro pronti a entrare in circolo che assediano la giunta Raggi.

La sindaca è incastrata da un lato dalle severe pressioni del costruttore Parnasi, con le sue ruspe pronte all’attacco, dalla tifoseria romanista che reclama il suo nuovo stadio a bomboniera (col Capitano in testa e con l’hashtag #FamoStoStadio) e sull’altro versante la conclamata avversione del Movimento 5 Stelle per le speculazioni, le numerose controindicazioni ambientali e urbanistiche. Il progettone (di cui in realtà lo stadio assorbe solo il 14 per cento del cemento, il resto se lo mangerebbero i grattacieli e il cosiddetto “business park”) parla di un miliardo e 600 milioni di investimenti in sei anni. Molti soldi, alte speranze di profitto per la partnership Pallotta-Parnasi, e altrettanti scongiuri di rientro di banche come UniCredit già esposte con il costruttore romano e con la Roma Calcio. Ammesso che lo voglia, per la sindaca non è facile mettersi di traverso. Se lo facesse salverebbe una splendida ansa del Tevere di valore paesaggistico dove vagabondano lepri e fagiani e dove il piano regolatore di Roma esclude (salvo varianti malandrine) che si possa costruire alcunché. Darebbe soddisfazione ai duri e puri militanti del M5S e metterebbe un altro bastone tra le ruote (dopo il No alle Olimpiadi) dei poteri che da decenni regnano a Roma: le dinastie dei costruttori (qui anche detti palazzinari) Sul mega-progetto si decidono in qualche modo anche le sorti di una filosofia urbanistica che a Roma è stata per decenni la regola, la logica perversa delle compensazioni in virtù della quale i costruttori hanno spesso ottenuto, in cambio di opere infrastrutturali, permessi di edificazione a fini puramente speculativi. Nel caso dello stadio romanista, poiché l’impianto sportivo da solo non assicurerebbe un ritorno dell’investimento, Parnasi e il suo partner James Pallotta vogliono tirar su circa 600 mila metri cubi di cemento.

Si può sempre dire “no grazie” ma è difficile stimare il prezzo politico che pagherebbe in termini di consenso. Anche i romanisti votano e quindi, forse da un’altra parte (ci sono altri quartieri candidati) ma lo stadio va fatto. I moderni stadi di calcio vengono integrati in zone centrali delle città, per riqualificarle, come è stato fatto a Torino o a Manchester, a beneficio di decine di migliaia di cittadini residenti. Ha senso un mega insediamento a Tor di Valle dove non c’è anima viva (salvo una piccola comunità di zingari)? Il rilievo mantiene una sua ragionevolezza ma è superato, poiché la precedente giunta comunale di Ignazio Marino aveva già riconosciuto la “pubblica utilità” dell’iniziativa collocandola proprio lì. Virginia Raggi potrebbe anche fare marcia indietro approvando una contro delibera, ma solo a fronte di seri motivi, andando a pescare nelle riserve, non poche, che accompagnano il progetto. L’area è a alto rischio idrogeologico (rischio 3 su una scala di 4). Li vicino c’è un torrente, il Fosso Vallerano, affluente del Tevere che, in caso di piena, manderebbe sott’acqua anche l’eventuale monumento a Francesco Totti. E quindi bisognerebbe, prima ancora di muovere un filo d’erba, metterlo in sicurezza sopraelevando gli argini per un lungo tratto, dalla via Cristoforo Colombo a Tor di Valle. Onere milionario del costruttore, che invece scalpita per cominciare subito i lavori. Il suolo, così vicino al Tevere, è sabbioso e fragile, basta scavare pochi metri per intercettare le falde acquifere. Con le moderne tecniche di costruzione si può benissimo tirar su un mega stadio perfino nel mare, ma conviene piazzarci anche tre grattacieli alti 200 metri? Nell’immaginario progettuale almeno il 50 per cento dei tifosi previsti dalla capienza dell’impianto (quindi intorno ai 30 mila) dovrebbero usare la ferrovia. L’idea è di costruire una diramazione della metropolitana che vada dalla stazione della Magliana allo stadio. Ma gli esperti dell’Atac (l’azienda romana dei trasporti) hanno messo nero su bianco che non si può fare. Non c’è lo spazio e il nuovo innesto manderebbe in malora il traffico dei treni nelle ore di punta. Ma allora si potrebbe utilizzare la linea Roma – Lido di Ostia. Si, proprio quella che cade a pezzi e che sarebbe indispensabile rimettere in piedi con almeno 127 milioni di euro. Dovrebbe farlo la Regione Lazio. «E i soldi chi ce li mette?» dicono i responsabili. «Comunque non sono lavori che si possono fare per far funzionare lo stadio di un imprenditore privato». Soprattutto bisognerebbe convincere i tifosi romanisti a lasciare l’auto a casa, impresa temeraria se il babbo vuole andare alla partita coi pupi. E se poi la maggioranza decidesse di prendere la macchina, solo Stephen King potrebbe descrivere la fiumana di lamiere in coda sulla Via del Mare in direzione centro a partita finita. E ancora: se si rendesse necessaria l’evacuazione dell’area? Non risulta che il governo abbia esaminato i flussi di una eventuale fuga di migliaia di persone che alle spalle avrebbero il Tevere e di fronte una strada a scorrimento veloce come la Via del Mare.

È un’ipotesi estrema, ovvio. Non lo è invece una pioggia insistente che allagherebbe l’area senza essere più assorbita dal terreno, cementificato per costruire i parcheggi. A questo i progettisti però hanno pensato. Verrà installata una potente idrovora, in continua allerta, che inghiottirà l’acqua piovana sputandola nel Tevere. Ma poiché l’idrovora dovrà essere in efficienza e in manutenzione permanente, chi pagherà il personale per farla funzionare? Chi dovrà occuparsi della pulizia dei parcheggi e dell’intera area dopo una lieta domenica calcistica? L’indebitatissimo Comune di Roma? L’arrancante azienda dei rifiuti urbani Ama? La faccenda è tortuosa e il rischio è che sulle tasche dei romani finiscano per gravare nuove spese a beneficio di uno stadio comunque privato. La tifoseria romanista è persuasa che il nuovo impianto apparterà alla Roma Calcio. Non è così. La Roma sarà l’inquilina dello stadio che rimarrà di proprietà del presidente James Pallotta e dei suoi partner d’impresa (anche se è ovvio che la Roma Calcio è l’unico cliente possibile). Sono i giorni del cerino acceso che passa di mano in mano. I costruttori magnificano gli effetti del nuovo stadio sull’occupazione e la ricchezza della città (20 mila posti di lavoro nel “business park”, 142 milioni di entrate fiscali in più per il Comune, calo della disoccupazione…). Architetti, geometri, consulenti, idraulici, elettricisti, ingegneri e paesaggisti, banchieri e contabili sono lì sulla soglia, pronti a partecipare al banchetto. Pallotta e Parnasi lasciano intravvedere cause milionarie se il progetto dovesse naufragare. La maggioranza del Movimento 5 Stelle barcolla e qualche consigliere comunale è intimorito dall’eventualità di essere citato per danni dai costruttori in caso di blocco delle operazioni, peraltro osteggiate anche dal dominus dei costruttori romani, Francesco Gaetano Caltagirone che teme l’arrivo sul mercato di Roma di migliaia di metri cubi di uffici del suo concorrente Parnasi. Grosso guaio, a Tor di Valle. La partita è ormai ai tempi supplementari e il pareggio non è previsto.

(Il Venerdì di Repubblica – L. Irti)



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