Nicolò Zaniolo non ha retto di nervi, dopo una settimana in cui si era parlato più del suo futuro che del suo talento. Più di contratti che della Roma, scrive il Corriere dello Sport.
Come prima reazione ha cercato il pallone, provando un bis che sarebbe stato regolare. Ma ha tirato il pallone a quella Curva Sud che poco prima ne aveva accolto delirante la sfrenata esultanza. E allora, sconsolato e turbato, si è rivolto all’arbitro Abisso, ripensando a quel tiro vincente, a quella magia spaventosa, che un fallo avvenuto dieci secondi prima aveva disinnescato. «Ma che cazzo fischi?» ha urlato Zaniolo tre volte – così ha raccontato Mourinho dopo un colloquio con Abisso – con atteggiamento poco sereno. L’arbitro ha sentito e ha deciso: cartellino rosso, fuori.
E’ stata la sua seconda espulsione stagionale, dopo il doppio giallo rimediato alla prima giornata contro la Fiorentina, e l’ennesimo momento di dibattito con la classe arbitrale. Ma stavolta le conseguenze disciplinari possono essere pesanti. Perché Zaniolo, quando ha visto il rosso, si è agitato molto. E’ stato Mourinho, entrato in campo, a trascinarlo via dai guai. Prima di uscire, incontenibile, Nicolò ha riempito di calci anche uno dei tabelloni a bordo campo.
Occorrerà aspettare il giudice sportivo per conoscere la durata della squalifica. Che non gli impedirà di giocare martedì in Coppa Italia contro l’Inter – solo le sospensioni a tempo, comminate per comportamenti gravissimi, vengono estese a tutte le competizioni – ma lo terrà lontano dal campionato per un po’. Salterà di sicuro il Sassuolo, poi si vedrà.
Zaniolo, ahilui, ha peggiorato la sua posizione, ormai fuori controllo, rientrando in campo al fischio finale, violando in questo modo il regolamento: un calciatore espulso deve uscire immediatamente dal recinto di gioco e non ha diritto a tornarvi. Invece Nicolò, che aveva assistito agli ultimi attimi della partita contro il Genoa dalle scalette che portano allo spogliatoio, non ha resistito all’irrefrenabile spinta della protesta. Ed è stato ancora una volta papà José a fermarlo.
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