Il suo nome venne pure citato nel film “Vacanze di Natale” del 1983, a pochi mesi dal suo approdo nella Capitale. “Secondo te dove lo passa il Capodanno, Toninho Cerezo?”, fu la battuta divenuta poi un cult nel corso degli anni.
Lui, Toninho Cerezo – classe 1955 –, è uno dei quattro famer della Roma eletti per l’anno 2016. Centrocampista brasiliano di tecnica sopraffina e movenze felpate, carattere estroverso e solare, in giallorosso ha collezionato 104 presenze complessive e 25 gol. Con una bacheca personale di titoli vinti non trascurabile: due coppe Italia.
“Ma io non dimentico nemmeno due secondi posti in campionato, ma soprattutto la finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool”, dice oggi Toninho a distanza di trent’anni dalla sua esperienza capitolina.
Eppure, Cerezo, quella partita del 30 maggio 1984 per alcuni romanisti rappresenta ancora un tabù.
“E perché mai? Non alzammo al cielo il trofeo, però non uscimmo sconfitti dalla partita nei novanta minuti. Perdemmo solo ai calci di rigore. Io sono una persona positiva, guardo sempre il bicchiere mezzo pieno. Arrivare a giocare una sfida così importante deve rappresentare un orgoglio. La vittoria, poi, è una questione di dettagli e di fortuna. Altre squadre non arriveranno mai così in alto come arrivò la Roma quella sera”.
Che Roma era la sua Roma?
“Una squadra fortissima, che scendeva in campo sempre per vincere e comandare il gioco. Sono stato fortunato a farne parte”.
Un gruppo guidato da un allenatore come Liedholm.
“Persona fantastica, allenatore bravissimo. Mi ha sempre difeso pubblicamente con i giornalisti, pure quando giocavo partite inguardabili. Poi, in privato mi diceva: ‘Ci vediamo domani per allenamento per fare meglio di oggi’”.
Della squadra, invece, che ricordo ha?
“Andavo d’accordo con tutti, ma in particolare mi accolsero alla grande il capitano Agostino (Di Bartolomei, ndr) e Bruno Conti. In particolare, mi diedero subito un consiglio…”.
Un consiglio?
“Sì, quello di giocare con gli scarpini di cuoio con i tacchetti. In Brasile usavo quelli di gomma, ma in Europa non andavano bene. Scivolavo continuamente. Poi, un’altra differenza sostanziale notai al mio arrivo a Roma…”.
Quale?
“I ragazzi venivano al campo in giacca e cravatta. Bisognava essere sempre eleganti. Io ero abituato a uno stile meno ricercato… Tuttavia, il mio ricordo non era solo per i giocatori affermati di quel periodo come i già citati Agostino e Bruno, o altri senatori come Pruzzo, Maldera, Carletto Ancelotti. Avevo un ottimo rapporto pure con i giovani emergenti come Righetti, Giannini e Desideri”.
Non ebbe grandi difficoltà di ambientamento, pare di capire.
“Diciamo di no, anche se i primi trenta-quaranta giorni ero abbastanza spaesato. Ma mi resi subito conto che i romani erano molto simili ai brasiliani. Ti mandavano a fanculo facilmente, poi un minuto dopo ti offrivano il caffè al bar…”.
E i romanisti?
“Spettacolari. Calorosi e rumorosi come quelli dell’Atletico Mineiro, la squadra dalla quale venivo io. Erano davvero il dodicesimo uomo in campo, non è un modo di dire ruffiano”.
Quegli stessi tifosi che oggi la ricordano ancora e l’hanno eletta nella Hall of Fame della Roma.
“Li ringrazio di cuore, mi danno una grande forza in questo momento della vita. Significa che qualcosa di buono con la maglia giallorossa l’ho fatto. Orgoglioso di piacervi ancora”.
(asroma.com)
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