Olivier Dacourt, ex centrocampista della Roma, ha rilasciato un’intervista al Match Program del club giallorosso. Queste le sue dichiarazioni:
Se lo ricorda quel debutto con il Chievo?
“Certo, me lo ricordo bene. Non mi aspettavo di giocare subito perché venivo da un infortunio che mi aveva bloccato un paio di mesi in Inghilterra. Non avevo messo i minuti nelle gambe necessari, però non mi preoccupai. Mi diedero la maglia numero 15 e io scesi in campo. Giocai bene, peccato per il risultato negativo alla fine”.
Segnò Cossato nei minuti finali e i tre punti se li presero gli avversari.
“Già, una beffa, un episodio sfortunato. Alla fine di quel campionato arrivammo ottavi, non un grande piazzamento per una squadra come la Roma. Andò decisamente meglio negli anni successivi”.
Già, e la Roma nell’estate del 2003 tramutò il suo acquisto in prestito a titolo definitivo.
“Esattamente. In quei cinque mesi convinsi Capello e il club mi riscattò. Fu una grande soddisfazione restare a lungo in una città così bella e in una squadra tanto prestigiosa. Pensi, sei mesi prima della Roma fui vicino a trasferirmi alla Juventus, ma non se ne fece nulla. Meglio così, il calore di Roma e dei suoi tifosi non è paragonabile a nessun’altra realtà”.
Alla Juventus segnò il primo gol italiano.
“Vero, che gol… E che bella serata fu quella. Ne facemmo quattro alla squadra di Lippi, giocammo una gara perfetta. Purtroppo non riuscimmo a fine anno a vincere il campionato. Ci andammo vicini, ma il Milan fu più forte di noi”.
Al termine di quella stagione – 2003-2004 – andò via Capello e iniziò un’annata tormentata.
“Sì, cambiammo cinque allenatori: Cesare Prandelli, Rudi Voeller, Ezio Sella, Luigi Delneri e Bruno Conti. Ci salvammo alla penultima contro l’Atalanta vincendo 1-0 in casa loro con un gol di Antonio Cassano. Potevamo fare tutti meglio quell’anno, non dovevamo arrivare a quel punto e rischiare tanto”.
Capello che ha rappresentato per la sua carriera?
“Un tecnico di altissimo profilo, aveva vinto tanto con il Milan e con il Real Madrid. Tutti i giorni provava a trasmetterci questa voglia di conquistare titoli. Quando parlava lui nello spogliatoio non fiatava nessuno. Stavano tutti in silenzio ed era giusto così”.
Da un tecnico a un altro: Per un anno tra il 2005 e il 2006 ha lavorato anche con Spalletti.
“Manager diverso rispetto a Fabio. Con lui era un piacere allenarsi, ci divertivamo parecchio durante le sedute tattiche. Veniva dall’Udinese, non aveva vinto nulla, ma si vedeva che sarebbe diventato un grande. Con lui facemmo il record delle undici vittorie consecutive. Record che poi l’Inter l’anno dopo battè con diciassette successi di fila. Mi fa piacere che guidi ancora la Roma, lui e il club meritano di togliersi qualche soddisfazione”.
Francesco Totti e Daniele De Rossi sono stati suoi compagni di squadra, ma ancora oggi sono due calciatori importanti per la Roma. Se lo sarebbe aspettato di vederli ancora protagonisti?
“E perché no? Francesco è un grandissimo e non si discute. Ha segnato tanti gol ed è il capitano. Daniele l’ho visto anche esordire in prima squadra a vent’anni. Ancora oggi ci sentiamo con lui tramite messaggio. È veramente una persona di qualità. Ho avuto la fortuna di giocare con loro, ma anche di condividere il campo con altri fuoriclasse del calcio francese come Zidane, Makelele, Vieira…”.
In giallorosso tre anni e mezzo. All’Inter tre anni e altrettanti scudetti.
“E due di questi lì vincemmo contro la Roma di Spalletti… (ride, ndr). Scherzi a parte, a Milano mi sono trovato bene, ma ho vissuto una realtà diversa da Roma. Milano è la città della moda, la gente non vive per il calcio come succede a Roma o a Napoli. Comunque, il destino alla fine dell’esperienza all’Inter mi ha riproposto la Roma…”.
Cioè? Spieghi.
“L’ultima partita con la maglia nerazzurra la giocai proprio contro la Roma. Come pure l’esordio con il Chievo di cui parlavamo prima. Al Chievo, al Bentegodi, feci anche un gol bellissimo nel 2006 con un tiro dalla distanza. Dovevo andare alla Juventus e alla Juve ho segnato… Anche sul finale della carriera mi è capitato di incrociare le mie prime squadre da professionista. Il calcio regala questi strani incroci del destino…”.
Dopo aver smesso, ha mai pensato di allenare? In genere i centrocampisti sono più portati a intraprendere questa professione.
“No, no… Non ho mai voluto fare questo tipo di percorso. Sono contento oggi di lavorare per Canal Plus. Conduco un’importante trasmissione sul calcio. Non solo sulla tattica, vogliamo far capire ai telespettatori anche cosa si nasconde dietro la vita di un calciatore. È un bel programma, non mi lamento. E sempre forza Roma!”.
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