NOTIZIE AS ROMA DI FRANCESCO – Eusebio Di Francesco, arrivato la scorsa stagione sulla panchina della Roma, si racconta a coachesvoice.com. “Non sono nato come allenatore, mi sono costruito con il tempo. Non volevo farlo inizialmente e onestamente non avrei mai pensato di poterlo fare. Guardavo gli altri allenatori e non ho mai avuto il desiderio di fare quello stesso percorso” racconta l’ex tecnico del Sassuolo. “Sono diventato Team Manager della Roma dopo essermi ritirato. L’ho fatto per un anno, ma non mi piaceva il ruolo. Non ero tagliato per quello”.
Poi la decisione di allontanarsi un po’ dal mondo del pallone prima di rientrare come consulente di mercato del Val di Sangro. “Non ero soddisfatto neanche di quello” dice Di Francesco che piano piano si è riavvicinato al terreno di gioco: “Diventare allenatore ha risvegliato dei sentimenti sopiti”.
Il mister giallorosso si sofferma anche sullo stile di calcio praticato in Italia: “Tendiamo a concentrarci molto di più sull’aspetto difensivo che su quello offensivo. Lavoriamo tantissimo sulla tattica senza lasciare nulla al caso, abbiamo molti allenatori esperti”. Inevitabile avere delle influenze nel modo di allenare tutti i giorni: “All’inizio della mia carriera fui colpito da Marcello Lippi, più tardi a Roma da Fabio Capello. Non ho intenzione di elencarli tutti, ma ho cercato di prendere qualcosa da tutti. Ora osservo molto Pep Guardiola. Ho grande ammirazione di lui. Mi piace la sua idea di calcio e non amo il possesso palla fine a se stesso. Non voglio aspettare l’avversario, ma andare sempre ad aggredirlo”.
L’influenza maggiore, però, racconta Di Francesco, arriva da Zeman: “Era un pioniere. Le sue squadre attaccavano sempre e puntavano sempre a fare un gol in più dell’avversario. Da lui ho imparato molto del lato offensivo del gioco e ancora oggi ne traggo benefici”. Filosofia di gioco che si rivede molto nelle squadre del tecnico abruzzese come racconta lui stesso: “Voglio sempre dominare. Chiaramente non possibile in tutte le occasioni. Prima di arrivare a Roma ero al Sassuolo, ma anche quando siamo andati a giocare con squadre superiori a noi, abbiamo cercato sempre di imporci”.
Dei giocatori in rosa a Roma c’è chi secondo Di Francesco ha la stoffa per fare l’allenatore: “De Rossi può farcela. Ha il carattere, l’esperienza e la conoscenza giusta dopo aver lavorato con tanti manager differenti. Spero in futuro che sia tra quelli che lasceranno un segno”.
Il mestiere dell’allenatore resta comunque il più difficile e soprattutto in continua evoluzione: “Il calcio non è una scienza – dice DiFra -. Ma credo che la scienza possa guidare il calcio a migliorare. Le statistiche sono utili. Possono darti indizi o indicazioni importanti quando si tratta di prepararsi per una partita, o quando stai cercando di migliorare le debolezze che potresti avere. Se vedo una statistica che mostra che la mia squadra non sta giocando molti passaggi verticali, cercherò di lavorare su questo aspetto del gioco più di altri in allenamento perché sono un allenatore che preferisce giocare in verticale”.
L’obiettivo finale poi resta sempre vincere dei titoli:“Per avere successo serve un grande spirito di squadra. Oltre a essere grandi calciatori, c’è bisogno di grandi uomini”. Un parallelo poi sulla piazza di Roma: “Non è mai facile da gestire, ma il fatto che l’abbia vissuta come giocatore è un grande vantaggio. Però il ruolo di un allenatore è totalmente diverso. Hai grandi responsabilità e l’ambiente non deve mai essere una scusa. Chi viene qui sa che i media e le situazioni che incontri sono totalmente diversi. I tifosi sono davvero appassionati e hanno il desiderio di vincere. A volte, quel desiderio può diventare più grande di quanto tu possa immaginare. Ma è una fonte di grande orgoglio essere in grado di allenare la Roma, sapendo che devi fare un buon lavoro nel gestire l’esterno. Nel 2001, quando ho giocato nella Roma dell’ultimo scudetto, c’è voluta capacità e fortuna per vincere il campionato. Il presidente Sensi aveva investito molti soldi e siamo stati un ottimo gruppo. Allo stesso tempo, per vincere titoli è necessario un grande spirito di squadra. Oltre ai grandi calciatori, quella squadra aveva grandi uomini”.
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