Stephan El Shaarawy si è concesso per un’intervista al sito della Roma. Tanti i temi trattati: dalla corsa Champions a Claudio Ranieri. Queste le sue dichiarazioni:
Chi era Stephan da bambino?
“Un bambino con un’infinta
passione per il calcio. Da subito. Sono nato con il pallone in mano, che mi ha
accompagnato per tutta la vita. Appena ho cominciato a camminare mio padre mi ha
portato ai giardini a giocare. Il calcio è la mia vita”.
Non ti piacevano altri sport?
“Quasi (ride, ndr). Un
giorno mentre ero al parco sotto casa, un ragazzo mi regalò un pallone da basket
con la mano stampata sopra di Michael Jordan. Rimasi molto colpito e andai da
mio padre, dicendogli che volevo giocare a pallacanestro. Lui avvertì Dionigi
Donati, l’allenatore che avevo ai tempi al Legino, che impazzì e lo pregò di
farmi cambiare idea. Mio padre lo calmò e gli disse che voleva farmi almeno
provare. Provai tre giorni, ma tornai a casa implorandolo di farmi tornare a
giocare a calcio. Da lì non ho più smesso”.
Quando hai realizzato di avercela finalmente fatta?
“Non
c’è stato un momento in particolare. Ma quando ho iniziato ad allenarmi con la
prima squadra, quando ero al Genoa, sentivo che il mio sogno si stava
avvicinando sempre di più. Ho sempre voluto giocare in Serie A”.
Sembra ieri, ma il tuo esordio in Serie A c’è stato dieci anni fa. Te
lo ricordi quel giorno? Che sensazioni provavi? Sapevi che sarebbe arrivato il
tuo momento?
“È stato tutto molto veloce, avevo 16 anni. Pensavo a
giocare e a divertirmi. In quel periodo il Genoa non andava benissimo, c’erano
molti infortunati. Sono andato in panchina la partita prima dell’esordio ma non
entrai. Alla gara successiva, a Verona contro il Chievo, eravamo cinque
Primavera tra i convocati. Jankovic aveva i crampi e il mister mi fece scaldare.
In quei minuti sentivo il sogno che si stava avvicinando, sempre di più, ero
teso ed emozionatissimo, ma avevo una voglia incredibile. Entrai sullo 0-0 e
segnammo, fui coinvolto nell’azione del gol. Oliveira calciò in porta e segnò
proprio accanto a me e andammo a esultare insieme. Fu un esordio da sogno”.
Hai sempre giocato come attaccante?
“Da piccolo ho fatto
tutti i ruoli, anche il portiere. Poi crescendo sono stato mezzala fino ai
Giovanissimi. Sono passato sulla fascia destra, prima di essere spostato sulla
sinistra dove sono sempre rimasto: è quello il mio ruolo principale. Tranne al
Padova, dove mi hanno schierato come trequartista”.
C’è un calciatore al quale ti ispiravi o che
ammiravi?
“Prima era Ronaldinho, ma poi mi sono affezionato a Kakà.
Andavo sempre a vedere le sue skill su YouTube, ogni giorno, quando tornavo a
casa e cercavo di riproporle, mi ci allenavo. Da lui ne ho imparate un bel po’.
L’ho sempre ammirato come calciatore e poi, quando l’ho conosciuto, anche come
persona”.
Qual è il consiglio migliore che hai ricevuto in
carriera?
“I consigli più preziosi sono sempre stati quelli di mio
padre. Con lui ho trascorso tutta la mia carriera calcistica. Mi ha sempre
seguito, ha cambiato lavoro e vita in funzione della mia carriera. Accompagnava
me e altri miei compagni al campo. Ha fatto tantissimi sacrifici e da lui ho
imparato proprio questo: bisogna farne tanti, lavorare, mantenere alte le
ambizioni, non accontentarti mai. E poi di rimanere umile, a prescindere dai
successi”.
Questi sono gli stessi consigli che daresti a un giovane che sta per
intraprendere la carriera da professionista?
“Non accontentarsi mai
e cercare di giocare a calcio con passione, la devono vivere con gioia. Da te
stesso, però, devi pretendere il massimo: non basta mai quello che hai
fatto”.
C’è stato un periodo particolarmente difficile che hai vissuto in
carriera?
“Sì. Quando mi sono operato nel 2013 al metatarso del
piede sinistro. Il mio primo infortunio in carriera. Quello forse rappresenta il
giorno più brutto della mia vita. Fu una ricaduta, perché dopo uno stop di tre
mesi arrivò un nuovo infortunio a dicembre, alla seconda partita dal mio ritorno
in campo, con il Mondiale a pochi mesi di distanza. Con il dottore scegliemmo la
strada dell’operazione, ma poi sono arrivato a recuperare solo a maggio.
Praticamente sono stato fuori un anno intero”.
Cosa hai imparato da quel periodo?
“Ho capito quali erano
le vere persone su cui potevo contare nella mia vita: la mia famiglia e i miei
amici. Dall’esterno sono arrivate tante critiche che non mi appartenevano e che
mi hanno fatto star male. Quel periodo mi ha insegnato tanto”.
Chi è il tuo migliore amico nella vita?
“Ne ho due. Uno
si chiama Manuel, lo conosco da quando sono all’asilo nido. E l’altro è Aurel,
lo conosco dalle medie. Abbiamo passato tantissimo tempo insieme e condividiamo
tutto. Loro mi hanno supportato molto nei miei periodi più bui”.
E nel calcio a chi sei più legato?
“Ho instaurato buoni
rapporti in tutte le squadre. Nel tempo magari si perdono i contatti con certi
ex compagni di squadra, ma una persona a cui sono molto legato è Mattia Perin.
Con lui ho fatto tutte le giovanili e abbiamo vinto lo Scudetto Primavera
insieme. Qui a Roma ho conosciuto un amico: a Lorenzo (Pellegrini, ndr), con lui
passo davvero tanto tempo anche fuori dal campo e abbiamo un ottimo
rapporto”.
È vero che sei il più forte a biliardo nella
squadra?
“Dipende. Se giochiamo con il biliardo a buche strette,
come quello che abbiamo qui a Trigoria, devo dire che molti miei compagni sono
migliorati. Florenzi è molto forte. Ma in quello che ho a casa, dove gioco a
snooker, mi dicono tutti che sono il più bravo”.
Come nasce la passione per lo snooker?
“A me è sempre
piaciuto il pool, ci giocavo spesso a Savona. Nel 2010 in televisione, però,
davano solo lo snooker e mi sono appassionato a questa specialità. Era più
complicato, il tavolo era più grosso, le buche più strette e c’era tanta
tattica. Purtroppo in Italia non c’era un posto per giocarci. Sono stato dal
2010 al 2014 solo a guardarlo su Eurosport. Un giorno il commentatore della
sfida lesse un Tweet in cui si diceva che stavano aprendo una nuova accademia a
Savona, la mia città. Non potevo crederci, ho chiamato subito per ricevere
informazioni. Ero al Milan e al primo giorno libero andai a provare. Da quel
momento ho iniziato a giocarci, finché non mi sono comprato il tavolo e me lo
sono messo qui a casa mia a Roma, dove vive anche il campione italiano, Gianluca
Manoli, con il quale ogni tanto ci facciamo qualche partita”.
Qualche mese fa sei anche andato anche ai Masters a Londra a vedere
la partita.
“Il giorno prima avevo segnato al Torino, il mister ci
diede due giorni liberi e a Londra c’era la finale: non potevo non andare.
Oltretutto si sfidavano due dei giocatori che amo di più in assoluto: Ronnie O
Sullivan, il più forte di tutti i tutti in questa disciplina, e Judd Trump, che
sabato verrà a vedermi anche allo Stadio”.
Sappiamo che ti piace investire nel mondo digitale: ci racconti
questa tua attività?
“È un’attività che porto avanti insieme a mio
fratello, Manuel, al quale sono molto legato. Lui da sempre è appassionato di
nuove tecnologie e del mondo digital. Tra le start up nelle quali abbiamo
investito c’è Charity Stars, una piattaforma che mette all’asta prodotti ed
experience donando l’80% dei ricavi in beneficenza. In generale ci interessiamo
a un settore in continua evoluzione, che in Italia si sta facendo spazio molto
più lentamente rispetto al resto dell’Europa, per non parlare degli Stati Uniti.
Noi, però, abbiamo scelto di intraprendere questa strada: credere nelle idee
significa credere nel nostro futuro”.
Quest’anno gli infortuni muscolari ti hanno fermato spesso sul più
bello, in momenti positivi della tua stagione. Che giudizio dai del tuo
campionato finora?
“A livello personale sono soddisfatto della
continuità che ho avuto in questa stagione. Sono cresciuto, mi sento maturato
come calciatore, sono cambiato in fase realizzativa e come rendimento generale.
Tutto questo mi ha dato una maggiore consapevolezza dei mezzi e più autostima. A
livello di squadra abbiamo lasciato tanti punti per strada, potevamo fare
meglio. Ma la classifica ci lascia ancora possibilità. Siamo a un punto dalla
Champions. Mancano sette partite e ci sono tutti i presupposti per centrare
l’obiettivo”.
La vittoria con la Sampdoria vi ha motivato più del
previsto?
“Ha davvero cambiato lo scenario che stavamo vivendo, ci
ha ridato tanta convinzione e credo abbia fatto lo stesso per l’ambiente. Di
punto il bianco il traguardo è diventato raggiungibile. Ora dobbiamo
concentrarci per sfruttare questa occasione”.
C’è una caratteristica che la Roma ha in più rispetto alle altre
contendenti per la zona Champions?
“L’anno scorso abbiamo
dimostrato, con quel percorso, che siamo una squadra da Champions. Ci meritiamo
di stare tra i grandi e vogliamo rivivere quelle emozioni”.
Contro l’Empoli hai superato le 100 gare con la Roma, festeggiandole
con un gol e con la fascia da capitano che Florenzi ti ha passato a fine
partita. Ti senti un po’ un senatore di questa squadra?
“È stata una
grande emozione, un orgoglio. È la prima volta che la indosso da quando gioco in
Serie A. Mi dispiace per Ale che è dovuto uscire, ma indossare quella fascia per
dieci minuti mi ha dato una carica incredibile: sul campo l’ho sentita proprio.
È stata una bellissima emozione, una serata speciale”.
Quella è stata anche la prima partita con Ranieri in panchina. Come
ti stai trovando con lui?
“Ha cercato di dare un’impronta positiva
basata sul gruppo e sull’aiuto reciproco. Ci chiede di lottare su tutte le palle
e lo stiamo seguendo. È un tecnico di grande esperienza, che comunica tanto,
anche con i giovani”.
Non sarà stato facile salutare Di Francesco, soprattutto dopo una
sconfitta dolorosa come quella con il Porto…
“No. Un allenatore
purtroppo è sempre il primo a pagare. Si è messo a disposizione, ha dato tutto
quello che aveva per la Roma e per noi, ha cercato di trasmettere la sua idea di
calcio. Quello che abbiamo fatto insieme l’anno scorso non si dimentica, anche
lui è entrato nella storia andando in semifinale di Champions. Lascia
sicuramente un bel ricordo”.
Presto farai un’esperienza con i ragazzi di Calcio Insieme, il
progetto di Roma Cares. Com’è nata questa iniziativa?
“Quasi tre
anni fa ho fatto un incidente, un errore che può capitare a tutti. Mi sono
assunto tutte le responsabilità e mi sono proposto per fare qualcosa di
socialmente utile, senza aspettare la sentenza del giudice. Spesso ho
collaborato con Roma Cares in diverse attività e ho cercato di farlo anche in
questa occasione. La mia intenzione era trasformare un episodio negativo in
un’esperienza positiva, sia per me sia per i bambini che saranno coinvolti. Ho
addirittura letto che avrei evitato il carcere con una “punizione”. Passare del
tempo con questi bambini sarà tutto tranne che con una punizione. Sarà
un’opportunità emozionante”.
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