ULTIME NOTIZIE AS ROMA TORRI GEMELLE ANTHONY – Oggi, 20 anni fa, una delle giornate più tragiche della storia. L’attentato alle Torri Gemelle dell’11settembre 2001 ha cambiato per sempre l’America e tutto il mondo, spazzando via la vita di quasi 3000 persone.
Quel giorno, però, c’è anche chi è riuscito a scampare alla morte per uno strano caso del destino, tinto di giallorosso. A raccontarlo è un tifoso italoamericano della Roma, Anthony Zomparelli: “Lavoravo al 100esimo piano della Torre Nord, la numero uno. Il primo aereo che ha centrato la torre ha colpito proprio l’angolo in cui sedevo. Se non fosse stato per Dio, per il destino, per il fatto che mio padre era un tifoso e, ovviamente per la magica Roma, sarei morto senza dubbio”, le parole ai canali ufficiali del club giallorosso.
“Sono un italoamericano di prima generazione, romanista dalla nascita grazie a mio padre. È lui che mi ha trasferito la passione e ho foto a cinque anni con la tuta della Roma. Posso dire di essere un romanista sfegatato, nonostante io sia in America seguo la Roma ogni settimana. ESPN avrebbe trasmesso Roma-Real Madrid e per me sarebbe stata la prima volta in cui avrei potuto vedere la Roma su un’emittente americana. Il match era alle 2 di pomeriggio. Non potevo fare altro che stare a casa a guardarlo, non potevo perdermelo! – continua a raccontare Anthony -. Mia madre mi urlava contro dicendomi che dovevo andare a lavorare. Ma le dissi che era per la Roma che non sarei andato quel giorno ed è questa la ragione per cui restai a casa”.
Dopo l’emozione, però, la tragedia: “Quel giorno da sogno si trasformò immediatamente in un incubo. Avrei fatto quello che hanno fatto migliaia di persone in quel giorno. Avrei preso il treno o l’autobus per andare in ufficio a fare il mio lavoro. Dico sempre ‘Forza il destino’, perché è sempre tutto legato a quello che il destino ti riserva. Ma secondo me c’era ancora di più. Dopo la tragedia mio padre, soprattutto all’inizio mi guardava come se non fossi lì, come se fossi un fantasma. E io gli dicevo ‘che succede? Sono qui’, ma capivo cosa provava. E lui mi rispondeva ‘e se fossi stato un tifoso della Juventus o del Milan? Non saresti stato qua’. E gli dicevo ‘è vero’. Era destino per me essere un tifoso della Roma, era destino per me mettere la Roma al di sopra del lavoro. Ma non lo supererò mai perché c’è anche un senso di colpa. Ho poi conosciuto molte delle famiglie negli anni a venire. E con loro sono stato sempre molto franco, dicendo ‘mi dispiace del fatto che io sia qui mentre tuo figlia o tua figlia no’”.
Il racconto poi arriva a qualche mese più tardi: “Nell’estate del 2002 la Roma venne, per la prima volta a mia memoria, in un tour negli Stati Uniti per giocare un’amichevole contro il Real Madrid. E io non potevo perdermi un’occasione come quella. C’era un amico di mio padre che, non so perché, tutte le volte che i calciatori famosi della Serie A arrivavano negli USA, veniva chiamato per fare loro da autista nella settimano o due che avrebbero passato in città. E in quell’occasione aveva portato i calciatori della Roma che erano lì per il match col Real Madrid. E mi disse che avevano chiesto di andare a Ground Zero, al World Trade Center. Raccontò ad alcuni dei calciatori, se non ricordo male Batistuta e Tommasi, la mia storia. E loro gli dissero che volevano incontrarmi. È stata un’esperienza fantastica per me incontrare Capello, Samuel, Batistuta, Tommasi. È stato incredibile. Quando si riceve un dono come il mio, di essere ancora vivi, bisogna prenderlo, goderselo e continuare a guardare avanti. Forza Roma”.
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