Monchi, direttore sportivo della Roma, ha rilasciato un’intervista a Fox Sports nella quale racconta la sua esperienza in giallorosso e i prossimi obiettivi per creare un club vincente.
Perché Monchi?
Perché Monchi è Ramon. Da Ramon, il mio nome, deriva Monchi. Tutti i Monchi sono Ramon.
Lei è uomo di pensiero. Come si Allena il pensiero?
Il pensiero si alimenta, si allena. Io leggo libri di storia, serie tv di storia e leggo molti giornali. Ricordo sempre il primo giorno come direttore sportivo. Ho ricevuto un consiglio dal responsabile del settore giovanile del Siviglia che mi disse: ‘Tutte le mattine prima di iniziare a lavorare leggi i giornali sportivi’.
Quanti giornali legge la mattina quando si sveglia?
Prima vado in palestra, che per me è fondamentale. La prima cosa che faccio quando arrivo a Trigoria, più o meno alle 7 e mezza, è andare in palestra perché è un allenamento corporale, ma anche mentale. E’ un modo di buttare fuori pressione e stress. E dopo subito sulla stampa, fondamentalmente quella italiana e quella spagnola. Dedico 35/40 minuti per ogni giorno.
Prima il suo addio al Siviglia, poi quello di Totti alla Roma.
Sono immagini che non ho bisogno di vedere perché le ho ben incise nella mente e nel cuore. Sarò sempre riconoscente per questo addio e per l’affetto che ho avuto durante gli anni che ho passato sia come giocatore che come ds. E’ stato un giorno incredibilmente speciale, inimmaginabile.
Scese in campo con la maglia di Puerta…
Era un semplice omaggio ad Antonio, per tutto ciò che ha significato. La storia più gloriosa e recente del Siviglia parte da un suo gol contro lo Schalke, che disgraziatamente non ha potuto vivere a pieno a causa della sua scomparsa. Quel giorno era qualcosa che mi sarebbe piaciuto vivere con lui.
(Continuando a parlare del giorno dell’addio al Siviglia) Mi ha colpito molto il bacio al terreno di gioco…
E’ il centro nevralgico del Siviglia. Non potendo dare un bacio a tutti quelli che ci stavano, ha avuto un significato simbolico.
Poi è passato davanti ai trofei… mi aggancio ad una sua frase: “Non si è mai visto uno stadio applaudire un bilancio”.
I tifosi di calcio, del Siviglia, della Roma e di qualsiasi altra squadra, vogliono ottenere successi. Il risultato economico è importante, ma se non si unisce ad un risultato sportivo non ha riconoscimento.
E’ stato toccante vedere quelle immagini del suo addio…
Bello, credo sia passato un anno adesso.
Cosa l’ha portata a scegliere la Roma?
Avevo ben chiaro che se avessi avuto l’opportunità di continuare a lavorare avrei dovuto continuare ad essere Monchi. Dopo aver sentito cosa mi proponeva la Roma sono arrivato alla conclusione che era quello che più si avvicinava a ciò che avevo in mente.
Come per un calciatore, anche un direttore ha bisogno di un ambiente che esalti le sue caratteristiche…
Io mi sento speciale. Avevo bisogno di una squadra che fosse convinta di prendere non solo un ds, ma anche la persona. Nel mio lavoro la persona è ugualmente importante che un direttore sportivo.
E’ vero che ha saltato un provino con il Real Madrid, quando era molto giovane, perché doveva giocare un’importante sfida promozione con il San Fernando?
E’ vero, nel 1988 giocavo nel San Fernando, la squadra del mio paese. Ci giocavamo la promozione nella attuale serie C. C’era l’opportunità di fare un provino con il Real Madrid. Non ero molto convinto di andare, ma una volta lì feci il provino. Passò martedì, mercoledì e giovedì dissi che dovevo andare perché il sabato avremmo giocato con il Montilla, vicino Cadice, e sono andato via. In quel momento ho pensato che sarebbe stato più importante aiutare la squadra della mia città perché ci stavamo giocando qualcosa di importante, piuttosto che il mio interesse personale. Vincemmo 0-1. Lunedì mi chiamò il Siviglia per firmare, senza nessun provino e firmai.
A Siviglia ha incontrato una figura particolare come Maradona, con cui faceva passeggiate mattutine.
Il nostro rapportò si costruì con queste passeggiate. Quando viaggiamo lui non poteva uscire normalmente e lo faceva nelle prime ore del mattino. Io che generalmente dormo poco andavo con lui, un po’ per accompagnarlo e un po’ per egoismo per poter ascoltare Maradona, le sue storie e i suoi aneddoti che per me erano autentiche possibilità di conoscere il miglior giocatore al mondo.
Dorme poco?
Poco (ride, ndr). Sei ore al massimo. Dormo il necessario, mentre dormo perdo tempo per altre cose.
Un’altra figura chiave è Carlos Bilardo. Cosa l’ha ispirato di lui?
Mi ha affascinato il suo modo di pensare. La sua massima era “Dare importanza alle cose piccole”. Lui era ossessionato nel controllare tutto e non lasciare nulla al caso.
Gli mostrano una foto di lui da portiere…
Dentro di me sono orgoglioso della mia carriera, anche se non ero fortissimo. Ma ho realizzato il sogno di quando ero bambino.
Ho la formazione delle sue plusvalenze. Chi le ha dato più soddisfazione? Dani Alves?
Dani Alves riflette la mia filosofia di lavoro, che è prendere un giocatore sconosciuto, avere la pazienza di farlo crescere in Europa, fare in modo che il suo rendimento porti a risultati, e poi fare plusvalenza. Questo è il modo perfetto di lavorare per me, e a Siviglia l’ho sempre fatto.
Qual è il rapporto tra la tecnologia e l’occhio di chi guarda un giocatore?
La scelta di un giocatore è un mix tra occhio e computer. Ma l’ultima fase è la visione del giocatore. Il tempo è fondamentale: anticipare gli altri, per questo si utilizzano i dati. Per me l’utilizzo dei big data è la chiave.
Cercate giocatori in base al gioco della Roma?
Certo, sappiamo chi è il giocatore di cui l’allenatore ha bisogno. La relazione mister-ds, e la capacità di capire le esigenze dell’allenatore, rappresenta il 90% di una trattativa.
Come si conosce una persona prima che arrivi?
Io mantengo sempre una teoria che non so se sia giusta o sbagliata. Non possiamo dimenticarci che un calciatore è un calciatore e una persona. Il giocatore difficilmente dimentica come si gioca a calcio, se ha qualità quella rimane. Alcune volte dimentichiamo che il rendimento del giocatore non ha nulla a che vedere con il giocatore, ma con la persona che sta dietro al giocatore. Pertanto dobbiamo provare a conoscere, più rapidamente possibile, questa persona per approfondirla sotto tutti i punti di vista, informandoci direttamente sul giocatore e su quello che gli sta intorno, come la famiglia e gli amici. Perché se arriviamo alla persona e siamo capaci di porla in uno stato di felicità, il giocatore giocherà meglio. La virtù della società e della squadra deve essere quella di accorciare i tempi di inserimento e adattamento. Questo è quello che fa una grande società.
E’ stato fortunato quando Rakitic trovò una fidanzata andalusa?
Questo rientra nel fattore fortuna che anch’esso esiste.
Come ha scelto Di Francesco?
Eusebio richiamò la mia attenzione – ma anche di altri ds – per la carriera che ha fatto al Sassuolo: ha richiamato l’attenzione. Mi sarebbe piaciuto prenderlo.
Come va a Roma?
Monchi doveva cambiare per adattarsi ad una nuova situazione. Ora sono contentissimo di come vanno le cose e dell’accoglienza che ho ricevuto.
Under?
Giovane, lingua e cultura diversa: aveva bisogno di tempo. Gli abbiamo dato tutto ciò di cui aveva bisogno. Poi lui ha fatto la sua parte: è cresciuto, si è aperto e stiamo sulla strada giusta.
Totti?
Ha una capacità e un’influenza incredibile, così grande che la Roma deve utilizzare. Sarebbe assurdo non utilizzare i poteri di un supereroe.
Che impatto avrà lo Stadio della Roma? (domanda di un tifoso, ndr)
La capacità di generare incassi che un nuovo stadio evidentemente presuppone, farà in modo che vengano reinvestiti per diventare una società più moderna e soprattutto più potente. Sono introiti necessari per una grande società.
Terremo i grandi giocatori? (domanda di un tifoso, ndr)
Questo è il nostro pane quotidiano, come si dice in Spagna, l’eterna discussione se si vende tanto o meno. La Roma vende, quasi tutte le squadre del mondo vendono. L’ho già detto tante volte, non si vende perché si vuole vendere ma perché ci sono delle norme da rispettare che ti obbligano a far quadrare il bilancio e generare una plusvalenza per poter avere un organico migliore e di alto livello. È lo stesso discorso che facevo a Siviglia e lo conoscete a memoria.
Avete una chat per le comunicazioni dello staff?
Sì.
Usa Spotify?
No, sento musica della mia città, di Cadice.
Tre persone che non conosce per andare a cena. Chi sceglie?
Difficile. Andrei possibilmente con Gesù Cristo, con un politico importante e con uno storico. A me piace molto la storia, la politica e sono molto cattolico, per questo scelgo queste tre persone.
Ha pensato mai che il lavoro prevaricasse l’uomo?
Sì, molte volte. Mi toglie tempo a due cose per me fondamentali: la famiglia e gli amici. E’ la cosa più negativa, non avere tempo per loro.
Cosa imagina per la Roma del futuro?
L’obiettivo per il futuro è dare ai tifosi ciò che chiedono e che meritano. Devono essere orgogliosi anche per i nostri meriti sportivi. Ma non un titolo, serve stabilità nei successi. Il tifoso deve capire che un titolo non è difficile, ma lo è la continuità.
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