Simone Perrotta

(AS Roma Match Program) Quarto per presenze in Champions League con la maglia della Roma: “Davvero, non lo sapevo!” la risposta di Simone Perrotta a questa statistica. Sì perché dopo Totti, De Rossi e Panucci, Perrotta, centrocampista classe ’77, è il giocatore che ha è sceso in campo di più in Champions con la maglia della Roma, 31 le apparizioni totali. E proprio una di quelle 31 presenze la ha giocata a Londra allo Stamford Bridge. Stagione 2008/09 e proprio come quest’anno il Chelsea era una delle quattro squadre del girone capitato alla Roma.

Cosa ricorda di quella gara in Inghilterra?
“Ricordo benissimo che impressione ho provato entrando allo stadio, quando si sono accese le luci del pullman sembrava di essere davanti all’ingresso di un grande albergo. Proprio la stessa impressione che ha avuto mio figlio quando lo ho portato a fare il tour dello stadio lo scorso anno. Ogni viaggio che facciamo prevede sempre la visita allo stadio della città e quando il taxi si è fermato di fronte allo Stamford Brige, mio figlio meravigliato mi ha chiesto ‘papà dove siamo?’. Uno stadio pazzesco, che dà un’emozione unica”.

E la partita?
“Io entrai solo per una ventina di minuti, ero febbricitante. Perdemmo, 1-0 ma il bilancio comunque fu positivo perché all’Olimpico li abbiamo battuti con un’ottima prestazione e poi abbiamo passato il turno, come primi”.

Mercoledì ci sarà di nuovo Chelsea-Roma, che gara sarà?
“Si affrontano due grandissime squadre, e tutte e due stanno vivendo un momento particolare. Loro sono a nove punti dalla vetta e la Roma ha perso in casa contro il Napoli. Entrambe le formazioni hanno assenze importanti anche se non so alla fine chi giocherà. Mentalmente sta peggio il Chelsea, la Roma ha comunque perso contro il Napoli, una squadra che gioca un grande calcio. Loro invece hanno perso contro l’ultima in classifica anche se sappiamo oramai che gli equilibri nel campionato inglese sono particolari… Io mi aspetto una bella partita”.

Crede che il fattore campo conti?
“Il fattore campo conta molto, soprattutto in Inghilterra. La gente è attaccata al campo verde. In casa loro sanno come caricarsi”. In panchina ci saranno due allenatori italiani… “Due allenatori diversi con soprattutto due storie diverse alle spalle. Conte è un grande motivatore, soprattutto nelle situazioni di difficoltà. Qualche giorno fa leggevo una sua intervista dove raccontava che da sempre il calcio è la sua vita. È stato prima allenatore che giocatore. Oggi lavora 16 ad ore al giorno e ha un rapporto di amore e odio con il calcio; un grande amore perché la cosa più importante della sua vita, ma anche odio perché lo allontana dai suoi affetti familiari. Io l’ho conosciuto da calciatore, abbiamo giocato insieme alla Juventus. Antonio veniva da un grave infortunio ed era attentissimo a tutto, aveva una attenzione maniacale per tutti dettagli. Da calciatore ha vinto tutto e da allenatore fa fatto grandi cose, sia alla Juve sia con la Nazionale, per non parlare in Inghilterra”.

E Di Francesco, invece?
“Di Francesco ha fatto un percorso opposto a quello di Conte. Ha fatto di tutto prima di decidere di fare allenatore. Ha escluso tutto quello che non voleva fare, prima di decidere la strada da prendere. È stato anche un anno alla Roma come Team Manager e ha deciso che non avrebbe più voluto fare quel tipo di esperienza. È un ottimo allenatore, al Sassuolo ha fatto benissimo. Non è vero che in una piccola realtà è più facile, anzi. In una grande società ci sono giocatori di altro livello invece in una piccola società bisogna saper far giocare bene giocatori con qualità e preparazioni diverse. Accade esattamente il contrario rispetto a quando fai il calciatore dove in una piccola realtà si lavora bene, con tranquillità e si può trovare lo spazio per emergere”.

Dando uno sguardo al girone, come lo giudica?
“Alla Roma sarebbe potuto capitare di meglio… ha due grandissime avversarie. Io credo comunque che la gara di Londra non sarà decisiva, comunque vada. Loro devono venire all’Olimpico a fine ottobre. Peserà molto di più il risultato di Madrid perché la Roma all’Olimpico contro l’Atletico ha fatto una grande gara e ha dimostrato che può giocarsela alla pari con loro”.

Se dovesse fare un bilancio della stagione dei giallorossi fino ad ora?
“La Roma si sta ben comportando. Ha una partita in meno e contro l’Inter ha perso, ma è stata penalizzata dalla sfortuna. Poi le ha vinte tutte, fino a sabato scorso dove si è trovata davanti un Napoli difficile da affrontare. Loro sono in grande forma e la Roma comunque nel secondo tempo è riuscita ad affrontarli a testa alta: se fosse uscito fuori un pareggio non sarebbe stato uno scandalo”.

Dzeko se dovesse giocare a Londra raggiungerebbe quota 100 partite con la maglia della Roma. Il bosniaco è sempre “sotto osservazione”, cosa ne pensa?
“È pazzesco e paradossale quello che accade a Dzeko. Lo scorso anno ho fatto 39 gol e stiamo a discutere il campione che è. Certo potrebbe essere accusato di avere il potenziale per farne sessanta… ma non ha davvero senso. Combatte su ogni pallone, litiga con gli avversari, è evidente il suo attaccamento alla maglia”.

Prima di salutarci, una curiosità: la vediamo tutti i giorni a Trigoria, cosa l’ha fatto decidere fare il corso allenatori?
“Nell’AIC io sono responsabile del dipartimento junior e il nostro compito è andare a promuovere il miglioramento della gestione dei ragazzi che si approcciano al mondo del calcio. I miei referenti sono gli allenatori e il mio desiderio è riuscire a comunicare loro nella maniera più diretta. I ragazzi sono la parte più importante del calcio, non importa se diventeranno calciatori o no. Proprio per questo ho deciso di fare il corso, per arrivare preparato al confronto con gli allenatori, per avere le loro stesse conoscenze. In molti mi dicono che con la mia esperienza da calciatore io abbia tutta la preparazione che serva, ma io non mi sono accontentato. Fare l’allenatore è un’altra cosa; i tecnici devono essere formati per poter dare i giusti insegnamenti ai ragazzi che sono prima di tutto uomini e calciatori”.

Forse una delle motivazioni a spingerla a fare il corso potrebbe essere stato anche che si tenesse a Trigoria…
“Certo, io qui sono a casa. Quando ho deciso di smettere la scelta che la maglia giallorossa fosse l’ultima è stata molto ponderata. Sono passati degli anni e la voglia di giocare a volte si è  fatta sentire, ma oggi più che mai sono orgoglioso di aver chiuso la mia carriera con la maglia della Roma”.



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