NOTIZIE AS ROMA RANIERI – Claudio Ranieri, tecnico della Roma, ha parlato in un’intervista al sito ufficiale del club, asroma.com. Queste le sue dichiarazioni:
Mister, a quasi tre mesi dall’inizio di questa esperienza che
bilancio si sente di poter fare in vista di Roma-Parma?
Il bilancio
è positivo. Al momento del mio arrivo avevo trovato una situazione di scoramento
generale della squadra, i ragazzi erano abbattuti perché speravano di fare
meglio. Devo dire che qui a Trigoria ho avuto l’appoggio di tutti. E anche della
squadra, perché ha saputo reagire, è stata positiva e vogliosa. Non si arriva
con la bacchetta magica. Alla prima partita siamo stati molto fortunati contro
l’Empoli, più avanti ci sono state SPAL e Napoli e da lì in poi abbiamo cambiato
la strategia tattica. Avevo la necessità di far sentire più sicuri i difensori e
piano piano le cose sono migliorate. Questa squadra ha un futuro, perché ci sono
dei giovani molto interessanti: sono sicuro che potrà far bene.
Quali sono gli aspetti positivi e quelli che l’hanno
delusa?
Gli aspetti positivi sono proprio legati alla solidità
difensiva, che prima mancava. Un aspetto negativo è il gol subito a Genova nei
minuti di recupero. Anche se Mirante, poi, ci ha fatto quella parata sul calcio
di rigore. Oltre a Sassuolo-Roma, in cui abbiamo creato più occasioni di ogni
altra partita senza tuttavia riuscire a segnare. C’è ancora una possibilità
remota di entrare in Champions League. Bisognerà fare cinque gol e vedere ai
risultati delle altre? E noi ci proveremo. Io sono fatto così, come carattere
non mollo mai e devo provarci fino in fondo. Se non ci riusciremo faremo i
complimenti agli altri.
Quanto ha inciso la situazione della squadra sul tipo di calcio che
ha scelto in queste settimane?
Quando si arriva in corsa, verso il
finale di stagione, tutto è condizionante. Io sono un allenatore che chiede
organizzazione ed equilibrio tattico. Tutto questo incide sul mio modo di vedere
il calcio. È logico che anche a me piace pressare novanta minuti in avanti e poi
ripiegarsi, ma credo sia meglio non tenere troppo palla, perché l’altra squadra
si chiude e poi devi trovare il modo di aprire le difese. Anche per questi
motivi, cerco sempre di giocare in velocità. So che fare il mio calcio non è
facile e per questo sono contento di quello che hanno fatto i miei
giocatori.
Ha cambiato spesso il sistema di gioco, a dimostrazione che nella sua
idea di calcio non esiste solo un modo di schierare la squadra in
campo.
Io ho iniziato a fare i miei cambiamenti sul sistema di gioco
quando allenavo il Cagliari nel 1990. Nel girone di andata eravamo straultimi in
classifica e tutti ci davano come retrocessi. All’epoca si giocava con il 3-5-2
e solo il Milan di Sacchi si schierava con il 4-4-2. Io nella seconda parte di
campionato cambiai diverse volte tra 4-4-2 e 3-5-2 e mi salvai con una giornata
di anticipo. Mi piace cambiare, ma dipende sempre dalla squadra e da quanto si
può lavorare con i ragazzi. Ho preso in mano una squadra esperta, che sapeva già
il fatto suo. Se noi lottiamo fino all’ultima giornata è perché prima è stato
fatto bene. Che poi non sia stato tutto così fruttifero ci sta, fa parte delle
annate. Il mondo del calcio è così.
Qual è partita che le lascia il ricordo migliore?
Forse
quella contro la Juventus, è stata molto bella. È vero che Mirante ha fatto tre
capolavori, ma un portiere è lì anche per quello: l’anno scorso quanti ne ha
fatti Alisson? Siamo stati bravi ad approfittarne al momento giusto e siamo
riusciti a vincere la partita, regalando una bella soddisfazione ai nostri
tifosi presenti allo Stadio Olimpico.
Qual è il calciatore da cui ha avuto maggiori soddisfazioni in
termini di crescita?
Io credo che Fazio e Nzonzi abbiano fatto
vedere le loro capacità. Federico lo conoscevamo già. Steven non aveva
incontrato i favori del pubblico. Io lo avevo già cercato al Leicester, una
volta partito Kanté volevamo prenderlo. Forse sapere che già lo stimavo gli ha
dato quel quid in più per far vedere di che pasta è fatto. Gioca sempre a due
tocchi e riesce a recuperare delle palle incredibili come una piovra. Certo, nel
calcio italiano deve migliorare nella verticalizzazione, lui invece rischia di
meno e gioca sempre per il compagno. Mi sembra di rivedere Thiago Motta
all’Inter, non perde mai la bussola, è sempre calmo e a disposizione della
squadra. Credo che la Roma con lui abbia fatto un ottimo acquisto.
È Genoa-Roma la partita che le lascia più rimpianti per come sono
andate le cose?
Sì. Non era facile vincere e avevamo trovato il
varco giusto per far gol. Prendere il pareggio su palla inattiva considerate le
caratteristiche della nostra difesa mi è dispiaciuto molto. Ci avrebbe
proiettati all’Olimpico contro la Juventus con un tifo ancora più appassionato.
E poi con due punti avremmo avuto più possibilità di entrare in Champions
League.
Cosa si sente di dire in vista di una partita che rischia di non
poter permettere alla squadra di raggiungere quell’obiettivo?
Questa
squadra ha lottato per cercare di entrare in Champions League. Come ho già
detto, ci sono delle annate positive e negative. È come in agricoltura: il
contadino può fare sempre lo stesso lavoro, ma ci sono annate in cui il vino è
meraviglioso e annate in cui esce diverso da come lo si vorrebbe. Dipende da
mille fattori. Purtroppo è andata così, ma l’impegno, l’abnegazione e il senso
di appartenenza ci sono sempre stati.
Nell’ultimo post partita alcune sue parole hanno fatto discutere: ha
parlato di una Roma che dalla prossima stagione potrebbe non essere pronta a
giocarsi un posto in Champions. Ci approfondisce questo
pensiero?
Bisogna vedere come cambierà la squadra del prossimo anno
e capire che allenatore verrà. Questo gruppo sta lottando fino in fondo in
un’annata che è andata male. Io non voglio caricare di responsabilità il mio
successore. Sarebbe troppo facile. Io dico che questa è una buona squadra e che
negli ultimi anni è sempre andata in Champions. E allora diciamo che la prossima
squadra dovrà entrare in Europa League, voliamo più in basso. Se poi c’è l’anno
buono, vorrà dire che entrerà in Champions League e sarà una bella sorpresa. Io
sono sempre stato così, meglio non caricare di aspettative i tifosi e, di
conseguenza, allenatori, Società e tutto il sistema. Se contro il Parma
riuscissimo a entrare in Champions ovviamente entrerebbero più soldi. Questa
Società ha sempre messo in chiaro di voler mantenere il bilancio a posto e credo
che sia giusto. Quando sono tornato ho visto tantissimi cambiamenti, tante cose
che prima non c’erano, vuol dire che i soldi qui sono stati spesi e le cose sono
state fatte bene. Ovviamente ai tifosi di tutto ciò che che non si vede non
importa nulla, loro vogliono vedere solo la squadra lottare sul campo. Un tifoso
giustamente pensa così. Io che sono allenatore dico che qui c’è un’ottima
struttura, c’è una grande Società e c’è una grande crescita.
Quanto la emoziona vivere in panchina l’ultima partita da allenatore
della Roma?
Io mi emoziono sempre sulla panchina della Roma. Entro
in campo dopo l’inno perché altrimenti mi emoziono troppo. Voglio restare freddo
e lucido fino in fondo. Dato che è l’ultima ci tengo a ringraziare il Presidente
perché mi ha dato l’opportunità di guidare ancora una volta la squadra del mio
cuore.
E sarà anche l’ultima partita in giallorosso di Daniele, è
un’emozione in più?
Lo sarà per lui, per i tifosi che vedranno
Daniele per l’ultima volta con la fascia da Capitano sul campo e con la maglia
della Roma. Ogni tifoso si è identificato in lui, per quella voglia che ha, per
quello spirito combattivo che ha sempre fatto vedere. Mi auguro che domenica sia
una giornata caratterizzata da un saluto pieno di amore.
Cosa ha rappresentato per la sua carriera, nella quale ha raggiunto
il traguardo più clamoroso della storia del calcio contemporaneo, mettersi in
gioco per questi tre mesi per la Roma?
Per me Roma rappresenta
tutto. Quale tifoso non accetterebbe di guidare la propria squadra del cuore
anche solo per una partita? Io sono stato chiamato in un momento difficile.
Fosse stata un’altra squadra non avrei mai accettato. Non mi sarei messo a
rischiare così. Immaginate se dopo SPAL e Napoli avessimo continuato a perdere:
le critiche sarebbero andate tutte su di me. Io queste cose le ho pensate, ma
l’amore ti porta oltre il ragionamento pratico e freddo. Ho accettato
prendendomi i rischi. Tutta la mia carriera è stata così, prima del Leicester
sono arrivato secondo con la Roma, con la Juventus, con il Monaco, ma quelle
sono piazze in cui sono arrivato sempre in un momento di necessità: non mi è mai
stata costruita una squadra attorno.
Che differenze vede oggi tra il calcio italiano e il calcio
inglese?
Le differenze sono date da tanti fattori. La Premier League
genera tanti soldi. E poi noi siamo ancorati troppo nei tatticisimi. Questo
rallenta il gioco. Se un giocatore viene da lì, in Italia non rende subito. Ci
vuole del tempo per capire il calcio italiano, quel mezzo metro più avanti,
quella diagonale ben fatta. In Inghilterra, in Spagna e in Francia non sono così
ingabbiati. In Premier amano la competizione e le squadre devono lottare dal
primo al novantesimo. Ci si allena meno che in Italia, ma si fa tutto a mille
all’ora. Nelle partitine se ne danno di santa ragione. Lo spirito che i tifosi
vogliono è quello: vivere emozioni. E le emozioni si creano solo correndo e
lottando su ogni pallone.
È tornato spesso sul tema dello Stadio di proprietà: dalla sua
esperienza diretta quanto incide nella crescita di un Club?
Io non
riesco a capire come in Italia ci siano tutte queste difficoltà. Se penso che a
Londra, tra tutte le categorie, ogni quartiere ha il suo stadio mi chiedo come è
possibile che qui non ci riusciamo. Non solo a Roma, ma in tutta Italia. Ma per
quale motivo? Io non lo capisco. Così si ferma il Paese, così si ferma tutto.
Qual è la causa? La paura della corruzione? E allora state con gli occhi
aperti.
È quella la chiave per far crescere il calcio del nostro
Paese?
Serve a mettere a posto i conti, altrimenti con il Fair Play
Finanziario si blocca tutto. Guardate la Juventus. Chi fa uno stadio di
proprietà è già un passo avanti.
In più circostanze l’hanno chiamata in causa sul ruolo di Francesco
Totti e lei ha spiegato che i giocatori hanno bisogno di tempo per imparare a
diventare dirigenti. Ci fa capire il suo pensiero?
Spesso si pensa
che giocare a calcio e fare il dirigente siano le stesse cose. Non è così, sono
due mestieri diversi. Questo accade in tutti i lavori. Io non potrei fare il
giornalista. Francesco ha smesso di giocare e lui sa cosa sente e cosa vuole
fare, ma la crescita è graduale, non si nasce imparati. Certo è che lui di
calcio ne sa.
Al suo arrivo ci ha raccontato che due giorni prima aveva fatto un
grande tifo per la squadra contro il Porto: da lunedì cosa succede, si rimette i
panni del tifoso?
Non me li sono mai tolti. Sono e sarò sempre
tifoso.
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