Chris Smalling

AS ROMA SMALLING – Il difensore della Roma, Chris Smalling, ha rilasciato una lunga intervista al ‘The Athletic’, parlando in primis dei motivi che lo hanno spinto a lasciare il Manchester United

“Ho iniziato a pensare di giocare lontano dallo United abbastanza tardi nella finestra di mercato. Avevo firmato un nuovo contratto con il Manchester sei mesi prima e stavo giocando regolarmente quando è arrivato Ole Gunnar Solskjaer. Poi si è parlato di un nuovo difensore  centrale per tutta l’estate. Non era un problema per me, è parte della sfida e lo United aveva acquistato Lindelof e Bailly nelle ultime stagioni. Li ho accolti, ho lavorato duramente e alla fine della stagione avevo giocato più di tanti altri in squadra. Ole ha schierato Victor Lindelof e Harry Maguire nelle prime partite e ha lasciato Axel Tuanzebe in panchina. Se non avessi giocato così tanto negli anni precedenti, sarei stato felice di giocare in Europa League e di giocare in altre partite a seconda della forma fisica, ma alla fine della sessione di mercato, sentivo di aver bisogno di una chiara immagine di dove mi trovassi”.

Poi il cambiamento: “Sono stato in costante contatto con Ole e mi ha detto che avrei giocato una buona quantità di partite. Avrei giocato 20-25 partite, forse di più, poi la Roma ha fatto la sua offerta. Mi è stato detto che potevo giocare 40-50 partite con la Roma, forse il doppio di quanto avrei giocato allo United. Al Manchester avrei potuto prendere i miei stipendi, ero appena diventato padre di un bambino, ero con la mia famiglia. Venire a Roma è stata una sfida che mi è piaciuta, un grande club con grandi aspettative. Il manager non vuole soltanto tornare tra i primi quattro posti, vuole vincere un trofeo. Di recente la Roma ha avuto delle grandi serate in Champions League, ma l’Europa League qui è importante in questa stagione”.

Sulla famiglia: “Mia moglie mi ha sempre sostenuto e mi ha detto ‘Se vuoi trasferirti, lo faremo. Faremo ciò che è meglio per il tuo calcio’. Sapevo che avrebbe detto così e l’ho apprezzato. Quindi mi sono trasferito. Ho vissuto in hotel per un mese e poi ci siamo spostati in una bellissima casa la scorsa settimana. E’ appena fuori Roma, è circondata dal verde che è molto importante per i nostri cani. Ora sono tutti qui ed è positivo. Ho dovuto cambiare il mio guardaroba. Alla fine di ottobre c’erano 28 gradi e questo è un vantaggio”.

Al Manchester United Smalling era felice, ma il suo desiderio era quello di scendere in campo con continuità: “Volevo giocare ogni partita. Ho parlato con l’allenatore della Roma, Paulo Fonseca, e mi ha spiegato che aveva bisogno di un centrale con gli attributi. Nessun giocatore può essere certo di giocare ogni partita, ma sapevo che se fossi stato in forma allora avrei potuto giocare regolarmente. L’ho fatto e la reazione dello staff tecnico e dei tifosi ha aumentato la mia fiducia. L’italiano non è facile, non aiuta il fatto che così tante persone parlino in inglese. Potrei cavarmela in campo solo comunicando in inglese, anche se ho bisogno di parlare in italiano in campo, Conosco già le parole chiave. È importante per me fare lo sforzo di imparare l’italiano. Non è l’ideale quando i ragazzi stranieri vengono in Inghilterra e il loro inglese non è buono anni dopo. Parlare la lingua fa una grande differenza fuori dal campo. Non parlerò fluentemente, ma farò del mio meglio”, aggiunge.

Il retroscena sul suo arrivo alla Roma, dove ha trovato Dzeko e Kolarov, che ha affrontato al Manchester City: “Eravamo rivali ed erano amichevoli, ma non conoscevo abbastanza bene nessuno da rispondere al telefono quando sono arrivato. Ho ricevuto chiamate però. Il capitano Alessandro Florenzi mi ha mandato un messaggio quando stavo per arrivare alla Roma. ‘Ciao Chris, sono Alessandro Florenzi. Benvenuto nella squadra. Sono molto felice del tuo arrivo, ci vediamo presto’, c’era scritto. La Roma è stata accogliente. L’allenamento è simile a quello dello United. Giochiamo ogni 3-4 giorni, quindi recuperiamo, poi facciamo una partita incentrata sul possesso palla in allenamento il giorno prima del match. Ho anche lavorato un po’ di più sulla tattica durante la pausa per le Nazionali”. E la nazionale inglese? “Non chiuderò le porte all’Inghilterra fino a quando non appenderò gli scarpini al chiodo, ma le possibilità con Southgate sembrano ridotte, indipendentemente da quanto bene ho fatto allo United o qui. Questa è una scelta del tecnico, ma io spero la situazione cambi. Forse mi guarderà sotto una luce differente giocando bene in Italia dove sanno qualcosa in più sulla difesa. Penso che sarò un giocatore migliore quando tornerò a Manchester il prossimo maggio”.

Chris Smalling continua: “Il mister vuole una linea difensiva molto più alta di quanto abbia mai avuto prima. Voleva un difensore rapido ed aggressivo – e questo sono io -. Ho guardato i video e trovato interessanti le tattiche. In Italia giocano a 3 o 5 dietro e due attaccanti in avanti, con molte palle tra le linee. Le squadre sono più difficili da superare. Ogni volta che si allarga la palla, gli attaccanti si spostano verso l’interno. Qui sono due contro due. Mi sento più in guardia, che devo fare molto di più perché l’allenatore vuole che noi giochiamo con la linea difensiva alta. Ho giocato con Fazio che parla inglese e anche con Mancini, che ha firmato questa estate con la Roma. Stiamo diventando più forti partita dopo partita e stiamo concedendo alle squadre pochissime opportunità”.

Il legame con lo United, però, è ancora intatto: “Parlo ancora con i giocatori, sono stato lì molto tempo e siamo amici. Stanno attraversando momenti difficili lì, ma il mister mi manda messaggi. Mi sta seguendo e ha visto che sono stato l’uomo partita e si è congratulato. Penso che il calcio italiano sia adatto a giocatori aggressivi e veloci che sanno leggere bene il gioco. Voglio dar fastidio agli attaccanti qui, come facevo in Inghilterra. Jamie Vardy è una peste, non smette mai di correre. Molti attaccanti correranno per un buon pallone, come Aguero, che è molto bravo, uno dei migliori ma non vorrebbe correre per raggiungere una palla che probabilmente non raggiungerà. Vardy lo farebbe, ma trova fastidioso giocare contro di me”.

Smalling si sta mettendo alle spalle anche le critiche ricevute: “A volte sono ingiuste. Ci sono stati momenti in cui ho giocato bene, eppure vedi ancora che sono scelti gli stessi uno o due giocatori. E’ dura. Sono mentalmente forte, ma mentirei se dicessi che non ti tocca. Anche i social possono essere un posto pericoloso. La cosa positiva è poter condividere i nostri messaggi o le nostre opinioni, ma le persone possono ricamarci sopra. Non ero sui social fino a tre o quattro anni fa. Amo la mia privacy, non volevo condividere tutto quello che mi riguarda, ma sentivo anche che avrei potuto usare i social per dare una spinta alle iniziative in cui sono coinvolto, come FBB (Football Beyond Borders), un’organizzazione benefica di educazione sociale, che aiuta i bambini in difficoltà a concentrasi in classe durante le lezioni. Forse le persone si relazionano per quello che ho passato: sono cresciuto senza un padre, ho perso un processo perché non potevamo arrivare in Tribunale dato che non potevamo permetterci una macchina. Mia madre pensava che ci deludesse perché non poteva portarci ai provini. Sono stato mandato via dal Millwall perché non sono riuscito ad arrivare agli allenamenti. I social media possono fare del bene come abbiamo visto con Raheem (Sterling), che parlava del razzismo, o Danny Rose sulla salute mentale”. 

Il discorso si sposta anche sul padre: “Non mi ricordo di lui. Ho alcune foto ma se fosse morto in tempi più recenti ne avrei avute molte di più. Lo guardo e mi dà la forza. Papà aveva il cancro al polmone. Era un fumatore. Morì poco più che quarantenne. Sono stato fortunato ad avere mio fratello quando siamo cresciuti. Possiamo condividere i nostri problemi, anche se non siamo le persone  più aperte del mondo. Forse avrei dovuto essere più aperto quando ero più giovane. Menzionare papà era quasi un argomento tabù. Mio fratello e io abbiamo mentito a scuola per far finta che papà non fosse morto. Abbiamo detto che si era allontanato. La mamma stava cercando di proteggerci, quindi non se n’è parlato molto. Mia mamma aveva la sua famiglia a Chatham. Non si è risposata. Ha cresciuto me e mio fratello, noi volevamo che lei fosse più socievole, incontrasse altre persone e vivesse un po’. Siamo sempre venuti prima per lei, ci ha spinto ed incoraggiati. Ci richiamava sempre perché voleva facessimo i compiti. Era fastidioso e anche un po’ imbarazzante. Mio fratello è anche un più intelligente di me. Aveva due A e una B a scuola. Io avevo insegnanti come il signor Emilino che mi aiutava e mi ha fatto avanzare nelle prove, fino ad arrivare al Millwall”.

Poi il retroscena Arsenal“Nella mia testa volevo andare all’Arsenal, dopo è arrivato il Manchester United. Stavo scendendo dal bus della squadra a Blackburn e il tecnico del Fulham, Roy Hodgson, ha dichiarato: ‘Abbiamo accettato un’offerta da parte del Man United’. Questo mi ha buttato giù. Sentivo che c’erano più opportunità di giocare all’Arsenal, ma ho parlato con Ferguson e mi disse ‘Non ti prenderei se non pensassi che tu possa giocare’. Ho preso giusta decisione perché da lì a poco avrei giocato al fianco di due grandi difensori e vinto la Premier”. Smalling torna sulla Roma: “I tifosi sono pazzi qui, lo stadio è molto rumoroso, soprattutto gli ultras. Le persone mi vedono in strada e vengono sempre a dirmi ‘Forza Roma’. Qualcuno è venuto al campo d’allenamento e mi ha regalato un disegno che mi ritraeva con mio figlio. Senti il loro amore e questo ti rende più fiducioso”.

Un altro passo indietro al Manchester United post Ferguson: “Abbiamo vinto delle coppe da quando Ferguson è andato via. Siamo arrivati secondi con Mourinho. Abbiamo giocato grandi partite. Ma non abbiamo avuto continuità per vincere titoli ed è difficile quando ci sono così tanti cambiamenti manageriali, ma è un posto impegnativo. Mi piace l’idea di avere un piano a lungo termine come adesso, ma devi anche vedere i progressi. Il primo anno allo United è stato probabilmente il mio momento clou. Ero entrato in un club che aveva Vidic e Ferdinand, Wes Brown, John O’Shea e Jonny Evans. Tutti erano praticamente ai vertici, eppure ho giocato 33 volte nella mia prima stagione. Ferguson ha gestito bene i giocatori. Ti diceva in qualche partite dovevi giocare con settimane di anticipo. Spiegava su cosa avrei lavorato in allenamento. Ero giovane, ma mi ha fatto ancora giocare nel derby quando Wayne (Rooney, ndr) ha segnato di rovesciata nella mia prima stagione. Mi sono comportato bene anche nei derby. I difensori potrebbero dire che preferirebbero un tackle dell’ultimo minuto, ma segnare un gol decisivo in un derby davanti ai tifosi è meglio”.

Su Solskjaer“Siamo andati in caduta libera. Prima che arrivasse Ole sapevamo che la stagione non era abbastanza buona. Ci aspettavamo di ricominciare e l’abbiamo fatto dopo il suo arrivo. La nostra fiducia era fragile. Abbiamo preso molte critiche – e giustamente – ma avevamo molti giocatori più giovani e non eravamo abbastanza forti mentalmente quando le cose non andavano per il verso giusto. Lo 0-4 con l’Everton è stato uno dei momenti peggiori. Erano tempi difficili. La bellezza dello United è lo spogliatoio. Possiamo avere discussioni ma poi andiamo avanti. Non c’è niente di personale. Il pre campionato era stato un buon inizio, l’ultima pre stagione non lo era stata. La posizione in classifica del Manchester adesso è inaccettabile e secondo me falsa. Ha un buon gruppo. Gli infortuni non hanno aiutato e io penso che veramente migliorerà la sua classifica. Se ha bisogno di innesti? Sì, senza dubbio. Ma c’è un buon nucleo lì. Lo spogliatoio del 2010 era pieno di giocatori con caratteri forti. Gary Neville era il più divertente. Ma erano anche grandi giocatori. C’erano giocatori lì da anni ed è questo che è cambiato dopo che Ferguson è andato via. Abbiamo avuto un enorme cambiamento di giocatori e non sto dicendo sia una scusa perché lo United ha speso molti soldi, ma non c’era più stabilità. I nuovi allenatori arrivano e vogliono lasciare il segno e imporre il loro stile. E’ abbastanza giusto, ognuno vuole coinvolgere i propri giocatori. Due anni dopo l’allenatore va via e tutto ricomincia. Gli allenatori hanno bisogno di tempo per raggiungere la stabilità, ma allo stesso tempo lo Unite deve essere più in alto di dove sia ora”.

Sugli ex compagni: Van Persie è arrivato per vincere il campionato. Voleva in pratica che gli passassimo la palla e lo facevamo. Di Maria è stato uno dei migliori giocatori che abbia mai visto. E’ finita in modo aspro, ma quando ha segnato per la prima volta sembrava incredibile. Tutti noi abbiamo pensato ‘Dobbiamo solo fargli solo arrivare la palla e farà qualcosa di speciale’. E’ un peccato che sia finita così rapidamente per lui all’Old Trafford, che è stato considerato un flop perché Di Maria è un grande giocatore. Falcao, invece, è uno dei ragazzi più simpatici che abbia mai incontrato. Parlava un buon inglese, era amichevole. Parlava con tutti in allenamento. Volevamo davvero che lui facesse bene, ma è arrivato dopo un grosso infortunio. A volte quando le cose non funzionano, i giocatori sono in gran parte responsabili e ti dispiace per loro. Falcao era diverso. Non è riuscito a far nulla proprio a causa di ciò che era accaduto prima. Uno o due anni dopo stava segnando ancora con il Monaco”. 

Su Daley Blind: “Andavo d’accordo con lui, era facile giocargli accanto. Gli parlo regolarmente. Ha imparato a giocare a calcio nel modo dell’Ajax, era altruista: giocava terzino sinistro o centrale difensivo. Non ha mai sollevato un polverone, non ha mai disturbato la squadra. Ho visto altri giocatori essere dirompenti e non andare bene per il morale della squadra, anche se non in modo del tutto negativo. Ma quando un giocatore pensa a se stesso non aiuta affatto, soprattutto dopo una sconfitta”. Infine, sulla dieta vegana: “Ho mangiato nel ristorante vegano e lo staff pensa io sia un uomo triste che mangio da solo, porterò lì la mia famiglia. Mia mamma continua a guardare ogni partita in cui gioco e mi manda messaggi dopo il match. Non è mai critica! Potrebbe dire che la squadra abbia abbia giocato male o insinuare che l’abbia fatto anche io, ma è il massimo che si ottiene” .



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