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Stadio Olimpico, una Fortezza: come il dominio casalingo della Roma ha garantito lo Scudetto del 2001

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AS ROMA NEWS SCUDETTO 2001 – 17 giugno 2001, una data che i romanisti ricorderanno per tutta la vita. La Roma è Campione d’Italia, al termine di una cavalcata che in molti addetti ai lavori hanno definito leggendaria. Tra euforia generale e invasioni di campo, la festa è continuata anche fuori dallo Stadio Olimpico, con il maxi concerto di Antonello Venditti al Circo Massimo, con oltre 2 milioni di persone presenti. Ma come ha costruito quella squadra il proprio successo? I fattori sono diversi: rosa, allenatore e mentalità vincente, specialmente in casa. Già, perché l’Olimpico divenne praticamente un fortino inespugnabile per tutto il campionato, laddove non sono riuscite a passare nemmeno avversarie forti come la Juventus e le milanesi. Ma andiamo nel dettaglio.

Una rosa lunga: tra campioni e ottime riserve

Primo segreto della Roma tricolore di Franco Sensi fu la rosa a disposizione di Capello. Essa era formata da giocatori chiave per ogni reparto. Su tutti, ovviamente, Francesco Totti, l’ex capitano e bandiera giallorossa, campione del mondo nel 2006. In quella notte dell’Olympiastadion di Berlino, stadio dove speriamo di rivedere gli Azzurri anche a luglio nella finalissima di Euro 2024, il numero 10 diede il suo contributo essenziale, un po’ come in tutto il campionato 2000/2001, laddove, su 30 presenze, servì 3 assist e segnò 13 gol. Altrettanto bene fecero due grandi interpreti del reparto offensivo: Montella (13 gol e 2 assist su 28 partite) e Gabriel Omar Batistuta (20 gol e 1 assit). 

Tra le marcature del centravanti argentino, una in particolare è rimasta nel cuore di tutti i tifosi giallorossi: quella contro la Fiorentina, proprio nel fortino dell’Olimpico, che valse i tre punti. In difesa, poi, Capello poteva contare su veri e propri pilastri: Walter Samuel, Aldair, Carlos Zago e Jonathan Zebina. Sulle fasce erano pronti a correre Cafu e Candela, mentre al centro recuperavano palloni e smistavano il gioco calciatori del calibro di Damiano Tommasi, Emerson, Assuncao e Hidetoshi Nakata. In porta non c’era un portiere particolarmente forte, ma sicuramente efficace come Francesco Antonioli, mentre in panchina non mancavano ottime alternative. Basti pensare ad Eusebio Di Francesco, Cristiano Zanetti, Gianni Guigou, Marco Del Vecchio, Cristiano Lupatelli e molti altri.

Fattore campo: Olimpico inespugnabile

All’epoca le partite da giocare in totale in Serie A erano 34 e non 38, data la presenza di 18 squadre al posto delle attuali 20. Questo significa che il girone era composto da 17 partite casalinghe e 17 match da giocarsi in trasferta. Ebbene, la Roma di Fabio Capello, vincitrice dello Scudetto al termine della stagione, seppe fare delle partite tra le mura amiche la ragione del proprio successo. Olimpico inespugnabile, anche laddove le difficoltà sembravano insormontabili. Partendo dai numeri nudi e crudi: 12 vittorie e 5 pareggi. Sconfitte: nessuna. Il che già fa capire la portata fatta dagli uomini in giallorosso. Ma di partite che la Roma rischiò di perdere in casa ce ne furono e come. Basti pensare a Roma-Milan, finita 1-1 con il pareggio di Montella su pallonetto, o Roma-Inter, sempre con un ispiratissimo aeroplanino che mise a segno una doppietta. Da annoverare anche altri pareggi fondamentali, come quello contro il Perugia, riuscito ad andare due volte in vantaggio, o quello nel derby di ritorno, giocato da padrona di casa, in cui Castroman fece tremare i polsi ai tifosi lupacchiotti nel finale. Altri crocevia, infine, sono la vittoria alla prima in casa di quel campionato, contro il Bologna, arrivata a seguito delle contestazioni per l’eliminazione precoce in Coppa Italia contro l’Atalanta, e l’ultima della stagione contro il Parma. Un 3-1 che sancì il definitivo successo romanista.

Fabio Capello: l’artefice della vittoria

Infine, non si può considerare un fattore determinante Fabio Capello. L’allenatore che tanto Franco Sensi corteggiò anni prima e che decise di sposare il progetto romanista a seguito di due anni di investimenti sul mercato di grande spessore. La squadra si rivelò, almeno in Serie A, subito sul pezzo, quasi mai mollando il primo posto e vincendo o pareggiando partite con tenacia, determinazione e mentalità da grande squadra. Come scordarsi, ad esempio, il 2-2 in rimonta a Torino, dopo che i giallorossi erano sotto 2-0 al Delle Alpi dopo nemmeno 5 minuti di partita? Eppure, nel finale risposero alle reti di Del Piero e Zidane, prima Nakata con una botta da fuori area, quindi Vincenzo Montella, che di tapin mise il pallone alle spalle di Van Der Sar. 

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Match non andato giù agli juventini, specialmente a Luciano Moggi, che ancora parla di furto dello Scudetto da parte della Roma. Una stagione gestita in ogni dettaglio dall’ex allenatore del Milan, anche nei momenti di maggiore nervosismo e difficoltà, come nel caso del pareggio di Napoli o dell’invasione anticipata di campo da parte dei tifosi impazienti di festeggiare il terzo Scudetto. Chi non ricorda Capello in camicia urlare ai tifosi di tornare sugli spalti immediatamente? Probabilmente un’immagine scolpita nella memoria collettiva romanista.

FOTO: Credits by Shutterstock.com

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