“Quanto sta accadendo a Roma – il caso della realizzazione del nuovo stadio – evidenzia in modo eclatante come l’urbanistica sia ormai relegata, dall’ideologia neoliberista dominante da tempo, a un ruolo subalterno e quindi miseramente perdente, rispetto alla centralità che un tempo possedeva nella progettualità riformista”. E’ quanto denunciano una trentina di urbanisti italiani in un manifesto che reca la firma, tra gli altri, di Anna Marson, Enzo Scandurra, Edoardo Salzano, Pier Luigi Cervellati e Carlo Cellamare, parlando di “estromissione delle questioni dell’urbanistica e del governo del territorio dal nucleo centrale dei programmi politici delle maggioranze che governano le nostre città e i nostri territori”. Proprio a uno dei firmatari del manifesto, Carlo Cellamare, era stato proposto dalla Giunta Raggi di subentrare all’assessore all’Urbanistica capitolino, Paolo Berdini, contrario allo Stadio di Tor di Valle. “Lo stadio – scrivono gli urbanisti nel documento – se visto dal punto di vista della tradizione romana ‘panem et circenses’, potrebbe essere considerato opera di pubblico interesse, e in quanto tale è previsto dalla legge 147/2013”. “Ciò che viene legittimato dal Comune di Roma con la delibera 132/2014 – proseguono – è invece la qualifica di ‘pubblico interesse’ per un progetto che comprende un milione di metri cubi con destinazione prevalente a uffici per ospitare multinazionali e attività commerciali, secondo il progetto presentato dai proprietari/costruttori, alla realizzazione del quale viene subordinata la costruzione compensatoria di alcune opere pubbliche per la città. L’interpretazione del ‘pubblico interesse’ vede quindi il ‘pubblico’ affidato agli ‘interessi’ finanziari dei proprietari fondiari, dei costruttori, delle banche creditrici, pronti a mettere in campo tutte le relazioni e i poteri di cui dispongono per assicurarsi la legittimazione ‘pubblica’ dei loro profitti”.

Secondo gli urbanisti, le “pratiche in controtendenza, da parte di singoli assessori, sono estremamente faticose e non riescono comunque a cambiare il contesto delle decisioni, rispetto alle quali prevalgono le mediazioni dei sindaci, dei presidenti e dei consiglieri eletti”. I trenta sottoscrittori del manifestano, inoltre, puntano il dito contro le “politiche europee” che “da un lato costringono le amministrazioni a svolgere un puro ruolo di ragioneria contabile, privatizzando anche le aziende municipalizzate sane e tagliando le spese per i servizi collettivi”, e dall’altro lato “sostengono la ricerca verso obiettivi effimeri come le smart city, l’uso di tecnologie che deresponsabilizzano gli abitanti, la ricerca di ‘successo’ competitivo, piegando a ciò la stessa ricerca universitaria”. Per queste ragioni, concludono gli urbanisti, “ci impegnamo, nei nostri rispettivi ruoli, a mobilitarci affinché il miglioramento delle condizioni collettive di vita degli abitanti delle città e dei territori torni al centro delle politiche pubbliche”.



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