L’ex assessore all’Urbanistica Paolo Berdini torna a parlare dello stadio della Roma, e lo fa tramite le pagine de Il Manifesto. Ecco il suo articolo pubblicato questa mattina dal quotidiano:
Un anno fa, era il 31 marzo 2016, l’allora ministro alle politiche industriali Federica Guidi ebbe la dignità di dimettersi quando venne a galla che una mano misteriosa aveva scritto sotto dettatura e fatto approvare una norma ad hoc sullo sfruttamento delle risorse petrolifere in Basilicata. Quella mano abilissima è poca cosa in confronto a quanto il governo Gentiloni ha inserito nella “manovrina economica“. Se il testo dell’articolo 64 verrà infatti confermato (e non c’è motivo per dubitar ne visto che il testo gira da ieri) saremmo di fronte ad uno scandalo di proporzioni ben maggiori. L’articolo innova la cosiddetta «legge sugli stadi di calcio» e cioè i due articoli della legge di bilancio 147/2013 (commi 304 e 305 dell’articolo 1). Se il legislatore nazionale ha ritenuto doveroso intervenire con decreto legge per variare una norma del 2013, è segno che c’erano gravi e fondati motivi di urgenza. Nulla di tutto questo. Si tratta soltanto di favorire la conclusione della vergognosa vicenda che tiene prigioniera la capitale d’Italia da quattro anni, e cioè la realizzazione di un immenso quartiere d’uffici che contiene al suo interno anche lo stadio della Roma calcio. Il progetto, come noto, è in difficoltà ed è stato bocciato dalla conferenza dei servizi guidata dalla Regione Lazio e anche la volontà esplicita dell’amministrazione Raggi di dare comunque il via all’operazione sta incontrando seri e insormontabili ostacoli.
Il primo di essi è il frutto di un intelligente lavoro di alcuni giovani giuristi coordinati da quel campione di legalità che è Ferdinando Imposimato e riguarda la natura del soggetto proponente. ll comma 304 lo individuava in modo generico ma con la precisazione che doveva sottoscrivere un accordo con una società sportiva. ll 13 febbraio scorso – ero ancora assessore all’Urbanistica – chiesi all’Avvocatura comunale se era sufficiente che la società proprietaria dei terreni (gruppo Parnasi) avesse stipulato un accordo con una società registrata negli Usa (gruppo Pallotta) che ha le sue finalità nella cartolarizzazione del credito e non nello sport. Dopo le mie dimissioni ignoro quale sia la risposta dell’Avvocatura. Ma il legislatore afferma oggi che il proponente pub essere (art. 64): «società o associazione sportiva». Una formulazione che lascia una possibile scappatoia all’obbligo dell’accordo con una società sportiva. C’è poi la questione delle imponenti volumetrie che l’amministrazione di Ignazio Marino aveva concesso per realizzare uffici o commercio, poiché il comma 304 della legge 147f2003 vietava espressamente la costruzione di abitazioni. Oggi l’articolo 64 Gentiloni recita così: «(il progetto) può ricomprendere anche la costruzione di immobili con destinazioni d’uso diverse da quella sportiva, complementari ego funzionali al finanziamento e alla fruibilità dell’impianto». Come si vede il vincolo è scomparso. Nell’area dell’Eur, il più qualificato centro per uffici di Roma dopo l’area storica, esistono non meno di 600 mila metri cubi di uffici vuoti a causa delle crisi. E allora avrà detto il legislatore: perché obbligare a costruire uffici se c’è quell’enorme mole di invenduto? Meglio realizzare alloggi. Prima o poi si venderanno. Non conosceremo forse mai il responsabile della riscrittura della legge sullo «stadio» della Roma ma sappiamo per certo che ne beneficieranno il gruppo Pamasi, il gruppo Pallotta-Roma calcio e il creditore di entrambi, Unicredit. Possiamo solo ripetere che per molto meno l’allora ministro Guidi si dimise. Speriamo che anche questa volta un sussulto di dignità provochi il miracolo.
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