Paolo Berdini

Paolo Berdini, ex assessore all’Urbanistica del Comune di Roma, ha rilasciato un’intervista a Centro Suono Sport parlando della stadio della Roma e non solo.

Come aveva promesso in campagna elettorale, la Raggi ha mai paventato l’ipotesi di ritirare la delibera di pubblica utilità una volta entrata in Campidoglio?
C’è stata una discussione profonda su questo atto che a me sembrava assolutamente non rimandabile, lì bisognava rimandare l’interesse pubblico. Questo perché la definizione di interesse pubblico, per me, ha una valenza giuridica fondamentale. Non era interesse pubblico quello che c’era dietro alle opere che la Roma voleva fare e, la conferma di questa mia posizione, è venuta dal problema del ponte sul Tevere. La Roma fa una proposta di ponte che è congeniale al suo intervento; a un chilometro di distanza, però, c’era già un progetto di massima che è diventato poi definitivo, il famoso Ponte dei congressi. Io ho posto questa questione, una città che sta andando a rotoli non può fare due ponti a distanza di un chilometro. E quindi come aveva fatto la giunta Marino a concedere l’interesse pubblico per un’opera che era la fotocopia di una che stava lì vicino? Tutta finanziata dal pubblico poi (140 milioni), questo mi sembrava uno scandalo. C’erano tutti gli elementi per ritirarla, a partire dal ponte sul Tevere.

Poi però?
Non è mai stata portata avanti questa idea. Consulenti giuridici, evidentemente molto più bravi di me, hanno iniziato a dire che c’era il rischio di una causa. Dunque lo spettro della paura è stato più forte del rispetto della legge. Oggi c’è ancora la cultura che vuole che lo Stadio della Roma abbia un interesse pubblico. Anche con il nuovo progetto vogliono continuare a riconoscere il pubblico interesse. Il pubblico interesse a Roma sarebbe quello di chiudere la partita delle periferie. Dobbiamo chiudere il problema della mancanza dei trasporti pubblici su ferro, dobbiamo recuperare le periferie, ma questo è un altro discorso.

Il Movimento 5 stelle quando era all’opposizione parlava di progetto come ‘favore ai soliti noti’ e gli emendamenti proposti venivano paragonati a dei ‘lifting ad un cadavere’. Grillo, disse “Stadio a Tor di Valle? Ne facciamo due, uno anche sott’acqua” alludendo al rischio idrogeologico. Secondo lei perché si è cambiata idea: è bastato eliminare le torri e favore di alcune palazzine per eliminare questo rischio?
Il rischio idrogeologico è stato, per me, un elemento di grave scoperta. Cioè, io scopro, come ho detto in alcune dichiarazioni, che nel progetto della costruzione dello stadio ci sono anche delle pompe idrovore. In poche parole lo stadio sorgerà su un’ansa del Tevere quindi c’è l’argine che crea una sorta di ‘vascone’, la dico così per capirci, e allora nel progetto di sviluppo di quel comprensorio ci sono delle pompe idrovore che, in periodi di violente piogge, avrebbero tolto l’acqua dal bacino. Anche lì io ho detto che quello non era un interesse pubblico, quello è un interesse dell’operatore e dunque quei soldi, che erano milioni di euro, doveva metterli la Roma e non il Comune. Sono stato accusato di aver detto un’eresia e si montò un caso assurdo, poi dopo un po’ mi hanno dato ragione. Quella è una zona dal punto di vista idrogeologico molto delicata, qualsiasi città intelligente avrebbe vietato l’edificazione in quella zona. Invece Roma sta continuando a giocare: un po’ sì un po’ no, un metro quadro in più, tre torri in meno ma alcune palazzine in più. Io credo che così non si fanno le città, così si fa un compromesso a ribasso che questa città conosce bene, perché sono 60 anni che vive di compromessi e le conseguenze le paghiamo tutti in termini di vivibilità

Lei ha mai fatto una controproposta alla Roma cercando di diminuire le cubature?
Sì, ho cercato di fare due funzioni con molta determinazione: la prima è quella di cambiare luogo, ovviamente non indicandolo io, non era né mio diritto né mio dovere indicare quale fosse la zona migliore. C’era un elenco di 28 aree che la Roma aveva esperito, Tor di Valle era la prima, potevano scegliere sull’altro novero di 27 aree ma non l’hanno fatto. Quello che argomentavo io è che con le opere connesse allo stadio, come parcheggi e trasporti su ferro, avrei servito un numero di cittadini romani molto più importante rispetto a Tor di Valle. Quindi avrei portato maggior beneficio in periferia se avessi fatto quelle opere in un altro posto, così fanno le città del nord Europa che sanno qual è lo sviluppo urbano, a Roma non è passata questa mia idea. Allora ho ragionato in subordine, se deve essere Tor di Valle, e non capisco perché deve esser Tor di Valle, allora vanno fatte valere le regole del piano regolatore: lì ci sono centomila metri quadrati di volumetria ammissibili, punto. Trattative come queste hanno portato questa città al disastro. E’ ovvio che se si fanno trattative e l’amministrazione comunale è soccombente perché non ha più potere e soldi, vince l’interesse privato. Il rispetto della legge per me era fondamentale, io rispettavo il piano regolatore e volevo che si rispettasse. La risposta che mi fu data quando chiesi il rispetto del piano regolatore fu sconcertante, mi dissero ‘ma così non c’è il ritorno economico’… ma non l’ho scelta io quell’area. E’ stata questa la triste vicenda dello stadio, ‘non c’è convenienza economica così’ come se fosse un problema della città di Roma, io rappresentavo gli interessi dei cittadini romani, non i miei. Cioè, l’interesse dei cittadini romani è far ritornare nelle casse della Roma e del costruttore legato alla Roma i soldi? E quando mai, un cittadino pensa all’equilibrio della città, pensa al futuro e alla funzionalità di un’opera, non deve pensare a far guadagnare qualcuno da un’operazione. Poi comprendo bene che nel gioco della costruzione c’è chi ci guadagna, fare il costruttore è un lavoro, ma non deve essere l’amministrazione a spianare la strada, questo lo trovo sconcertante. Questa è la battaglia della mia vita, sono sempre andato contro questo modo di vedere l’urbanistica e credo che sia un errore continuarlo oggi. Soprattutto considerando che la premessa era l’inversione drastica, culturale, del modo di governare le città. Non c’è stata questa inversione, anzi, c’è la continuità più sconcertante dell’urbanistica romana. Quindi la mia persona, evidentemente, dava fastidio a questo ‘nuovo’ modo di intendere l’urbanistica; prova ne sia che l’assessorato all’urbanistica, non l’assessore ma l’assessorato, comincia ad esser frequentato dagli stessi personaggi che hanno portato Roma al disastro. Quindi le stesse persone che con Veltroni e Alemanno hanno contrattato, come si dice in gergo, sono i trionfatori della vittoria della lista dei 5 stelle. C’è il ritorno al vecchio sistema di potere che doveva essere cancellato.

Lei è stato chiamato dalla Raggi nonostante si conoscesse la sua posizione, favorevole, alle Olimpiadi e la sua posizione, contraria, allo stadio a Tor di Valle. A distanza di quasi un anno ci troviamo senza Olimpiadi ma, probabilmente, avremo lo stadio. Cosa è successo?
Chi lo sa, qui ci vorrebbe uno psicanalista. La cosa che più mi ha infastidito è che di fronte a un progetto pubblico come sono le Olimpiadi, in cui è il Sindaco che fa il commissario straordinario, e che dava alla città 4 miliardi di finanziamenti, c’è stato prima un tentennamento durante la campagna elettorale perché dovevano scegliere i cittadini online, poi il referendum confermativo non è stato fatto ma è arrivato il no; dopodiché su un progetto privato, come quello dello stadio della Roma, andiamo avanti con questo balletto. Io trovo questa cosa sconcertante. Sul progetto pubblico che avrebbe portato nella casse di Roma 4 miliardi abbiamo dato un secco no, su un progetto privato, invece, continuiamo questo balletto immondo. Non è questa l’urbanistica che sognavo. Con quattro miliardi potevi mettere a posto i trasporti pubblici e risolvere il problema delle buche che fa morire i ragazzi sui motorini, questo mi stava molto a cuore. Possiamo usare Milano in proporzione, Milano ha poco meno di un milione di abitanti: l’operazione Expo è stata finanziata per un miliardo e mezzo di euro, quindi la proporzione è che noi dovevamo prendere circa quattro miliardi e mezzo. Lo Stato ci aveva detto che c’erano quattro miliardi nel pacchetto Olimpiadi 2024 e quindi credo che un’amministrazione sensata doveva andare a vedere questo progetto. Io non conosco i motivi che hanno spinto al no perché ad un certo punto non è stato più chiaro chi decideva chi e cosa. Improvvisamente c’è stato un disco rosso da parte dei dirigenti nazionali del M5s e noi ci troviamo senza soldi per la manutenzione ordinaria.

Proprio su questo, avete mai subito influenze da fuori Roma per il governo della città? Soprattutto la Raggi?
Non rispondo delle persone, dico solo che su certe decisioni sicuramente non è stata Roma che ha deciso. Sul no alle Olimpiadi non ha deciso Roma, perché altrimenti si poteva discutere su come e quando fare la consultazione. Evidentemente qualcuno da Comuni importanti vicino a Roma, o anche un po’ lontani da Roma, ha deciso che non si facessero le Olimpiadi, e questo stesso qualcuno ha deciso che era meglio fare lo stadio della Roma. Questo dice tutto sull’inversione culturale che non c’è stata. Io avevo accettato il mio posto da assessore all’urbanistica per la posizione limpida dei M5s in campagna elettorale: le Olimpiadi si sarebbero fatte solo se i cittadini erano d’accordo e che lo stadio della Roma era la più grande speculazione, questo hanno detto. Improvvisamente arriva il no alle Olimpiadi senza il consenso popolare, e diciamo sì allo stadio della Roma, anche se c’è questo giochino che ormai non incanta più nessuno.



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