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Veretout: “Voglio Champions ed Europeo. A Roma non si vince da tanto ma non sento la pressione”

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ULTIME NOTIZIE AS ROMA VERETOUT – Il centrocampista della Roma Jordan Veretout ha rilasciato una lunga intervista al sito francese “So Foot”. Queste le dichiarazioni del numero 17 giallorosso:

Con la Roma hai pareggiato 2-2 contro l’Inter. Hai dei rimpianti per questa partita?
Un po’. Abbiamo questa brutta abitudine di arretrare quando segniamo, e all’improvviso prendiamo gol. Contro l’Inter siamo riusciti a riprendere la partita, ma con Napoli e Atalanta ci siamo arresi troppo facilmente e ora dobbiamo rimediare. Chiaramente non è un’istruzione dell’allenatore quella di arretrare. Quando riusciamo a fare il nostro gioco e pressiamo alti possiamo battere qualsiasi squadra. A inizio ripresa contro l’Inter siamo andati in difficoltà. Provare a rimontare uno svantaggio significa lasciare dietro degli spazi: Atalanta e Napoli ci hanno segnato. Se vogliamo qualificarci per la Champions League, dobbiamo battere queste squadre e non possiamo fare errori.

La Roma sta facendo bene quest’anno, ma c’è anche la sensazione che ci siano ancora margini di miglioramento significativi.
Possiamo sempre fare cose migliori. Rispetto allo scorso anno giochiamo molto meglio, vinciamo di più e siamo più costanti. Segniamo molto, quindi dobbiamo continuare così. Per il momento quello che ci dà fastidio è questo quarto d’ora in cui arretriamo molto, dobbiamo cancellarlo.

Per due stagioni sei stato un titolare indiscusso alla Roma. Com’è la vita nella capitale?
Sto molto bene qui. È un grande club, il mio obiettivo era arrivare in una squadra di questo calibro. Sto migliorando giorno dopo giorno e mi sto divertendo molto. Sono soddisfatto. In Italia, l’ambiente di vita è di prim’ordine. Ho la fortuna di vivere a Roma che è una città incredibile, prima ancora avevo vissuto due anni a Firenze, che è un’altra bella città. Anche la mia famiglia ama la vita che facciamo a Roma, quindi mi aiuta. Abbiamo i nostri ristoranti, i nostri negozi, le nostre piccole abitudini in città. Non viviamo proprio a Roma, ma lì vicino. C’è la spiaggia intorno, è molto piacevole.

Sappiamo che il Covid ha colpito molto l’Italia. Come hai vissuto questo periodo?
È stato complicato. La vita dei giocatori ora si riduce ad andare all’allenamento e poi tornare a casa, per correre il minor rischio possibile. È spaventoso, nel senso che Roma è una città gioiosa, che vive ed è piena di turisti. Con il virus la città è morta in questo periodo: è una cosa che fa male. L’Italia è un paese molto vivace, quindi ovviamente questo pesa.

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Dopo due grandi stagioni alla Fiorentina, lei ha scelto la Roma, mentre i media hanno accennato all’interesse di diversi altri club, compreso il Napoli. Perché hai scelto questo club?
Il mio obiettivo era chiaro: lasciare la Fiorentina per un top club italiano. Avevo richieste, è vero. Ho fatto questa scelta perché la Roma è un grande club. I tifosi mi hanno impressionato, ma è stata soprattutto la discussione al telefono con Paulo Fonseca che alla fine mi ha convinto. Mi ha detto che mi voleva e cosa si aspettava da me, mi ha descritto come voleva giocare con la sua squadra. Ha visto molte mie partite alla Fiorentina, era molto interessato. Il secondo anno a Firenze giocavo da mediano, ma lui sapeva che avrei potuto giocare in diversi ruoli, anche più avanzato. Gli piace molto l’aggressività che metto al portatore di palla. Ho subito accettato il suo discorso. Mi ha migliorato e continuerà a farlo. So di aver fatto la scelta giusta firmando per la Roma.

Con Dzeko e Mkhitaryan, sei uno dei tre migliori marcatori del club in campionato. E’ diventato uno dei tuoi obiettivi segnare?
Con Mkhitaryan siamo diventati buoni amici. Sappiamo bene che Edin finirà come capocannoniere della squadra. Non sono sorpreso dal numero di gol segnati in questa stagione, l’allenatore mi chiede di partecipare alla manovra offensiva e di avanzare di più. L’anno scorso ho dovuto difendere di più, ma in questa stagione ho più libertà e mi sento capace di segnare e fare assist. Ho in mente un numero preciso di gol, l’allenatore mi ha dato un obiettivo, ma rimarrà tra me e lui.

Paulo Fonseca vuole un gioco spettacolare. Attualmente sei anche il terzo cannoniere. Come ha cambiato il tuo gioco Fonseca?
Richiede molto rigore difensivo e offensivo. La sua filosofia è mantenere la palla il più a lungo possibile. Per lui, questo permette di correre meno dietro l’avversario. Ama vedere i suoi giocatori lanciarsi in avanti, correre dei rischi. Coinvolge l’intero gruppo e questo è positivo per la squadra. Tutti sono pronti a dare tutto ed è questo che spiega la nostra grande stagione.

A livello personale, sembra che ti stia divertendo molto quest’anno. Cosa è cambiato rispetto agli altri tuoi allenatori?
Ho avuto la possibilità di avere allenatori molto bravi durante la mia carriera, Stefano Pioli per esempio era il massimo. Con la Fiorentina abbiamo giocato bene. Con Fonseca ci divertiamo in campo. La grande differenza rispetto agli altri tecnici che ho conosciuto è soprattutto il suo modo di affrontare le riunioni. È un grande allenatore e ha lasciato un segno in ogni club che ha guidato. Ora sappiamo che giocare bene non basta. Se non c’è vittoria alla fine, è inutile.

Questo è il tuo primo top club. Quali differenze hai sentito rispetto alle tue precedenti esperienze?
I club in cui sono stato hanno tutti una storia, ma quella della Roma è più grande. Tutto qui è superiore. Le conferenze stampa, i tifosi, le aspettative. Voglio giocare la Champions League dalla prossima stagione. In Italia mi sono fatto un nome, la Roma era il club giusto.

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Le reazioni dei tifosi della Fiorentina alla tua partenza sono state piuttosto dure. Ti hanno toccato?
Sono affezionato alla Fiorentina. Anche se la seconda stagione non è stata così bella, ho bei ricordi. Eravamo un gruppo affiatato, sono ancora in contatto con alcuni miei ex compagni di squadra. Ci sono state critiche, insulti da parte dei tifosi, ma non sono uno che si lascia prendere la mano. Ho dato tutto per il club, non ho mai barato. Volevo solo fare un passo avanti.

Uno dei momenti peggiori della storia della Fiorentina è la morte di Davide Astori, con cui hai giocato. Come l’hai vissuto?
Sono arrivato alla Fiorentina assieme a diversi giocatori francesi. Non parlavamo italiano e Davide è stato il primo giocatore a venire da noi, ha fatto di tutto per inserirci nel club. Anche senza la fascia, l’avrebbe fatto. Un uomo d’oro, molto gentile. Ha anche cercato di parlare un po’ di francese per metterci a nostro agio. Supportava i compagni dentro e fuori dal campo, difendendoli costantemente, anche quando le cose andavano meno bene. Naturalmente, non dobbiamo dimenticare il giocatore favoloso che era. La sua morte è tragica, è stato un momento molto difficile da vivere. Eravamo molto uniti tra noi, volevamo vincere per lui.

Come hai saputo della sua scomparsa?
Lo ricordo come se fosse ieri. Eravamo in albergo per preparare la partita contro l’Udinese. Al mattino, scendo le scale a fare colazione con Eysseric. Il rito di Davide era arrivare prima di tutti e partire dopo tutti. Con Valentin siamo scesi velocemente e poi siamo risaliti nelle nostre stanze per continuare a riposare. Quella mattina non mi ero accorto che Davide non era a tavola. Pochi minuti dopo, ci hanno comunicato che il nostro capitano era morto durante la notte. Non dimenticherò mai questo momento della mia vita.

Tornando alla Serie A, lo stile di gioco delle squadre in Italia è completamente cambiato. Le difese sono meno chiuse. Come lo spieghi?
Ci sono sempre tante tattiche in Italia, ma la differenza è che gli allenatori ora vogliono che la loro squadra offra un gioco attraente. Vediamo molti gol, le partite sono divertenti da guardare. La Serie A è sulla buona strada per tornare in prima linea sulla scena europea. Guardo il campionato in tv quando non gioco e mi diverto ogni volta. Mi permette anche di analizzare le loro tattiche. Sento ancora molte persone dire che le squadre corrono un rischio troppo grande per togliere la palla al portiere, ma per me si deve continuare con questa filosofia.

È uno stile molto offensivo, ma a volte può costare tanto. Tra le prime cinque squadre, la Roma è la peggiore difesa: come si può cambiare?
Parliamo molto dei nostri errori e cerchiamo di correggerli. Vediamo dei video, continuiamo a giocare cercando di non riprodurre quelle sciocchezze che ci fanno perdere gli obiettivi. Contro Napoli e Atalanta abbiamo preso due imbarcate, ma non era legato al nostro modo di giocare. Ora ci diciamo che qualunque cosa accada, non dobbiamo arrenderci. Se perdi 2-1 o 4-1 non prendi comunque punti, ma mentalmente fa la differenza. Non dobbiamo mollare proprio come abbiamo fatto contro l’Inter: questo è l’esempio perfetto.

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Adesso tiri i rigori alla Roma, come sei stato scelto?
L’anno scorso era Kolarov a tirare i rigori. Durante una partita ne sbaglia uno nel primo tempo e ci danno un altro penalty nel secondo. Per me spettava a lui ritirarlo, ero appena arrivato e avevo appena giocato qualche partita. E poi mi dissi che se non fosse stato lui a calciarlo, l’avrebbe fatto Dzeko. Edin prende la palla, me la dà, e Kolarov mi dice ‘Segna’. Quando hai due giocatori di quel calibro che ti danno la palla, ti dà un’enorme fiducia. È un bel gesto da parte loro. La scorsa stagione c’era anche Perotti, ma quest’anno ho questa responsabilità. Mi alleno ogni giorno e mi sento fiducioso. Finora funziona tutto bene.

Venerdì giocherai con la Lazio. Come ti avvicini a una partita come questa?
Un derby è sempre un derby, anche se si affrontano il primo in classifica contro l’ultimo. Senza tifosi sarà diverso, ma faremo di tutto per vincerlo. A Nantes mi hanno detto: ‘Un derby non si gioca, si vince’. Qui è più difficile, c’è una grande competizione tra i tifosi. Il mio primo vero derby l’ho vissuto in panchina, ho giocato solo la seconda partita. Sappiamo che è una partita elettrica e dobbiamo davvero vincerla. D’altra parte, rispettiamo sempre i nostri avversari. C’è un impegno, ma non è nemmeno una guerra sul campo.

Lo stadio Olimpico ora non sembra il più caldo d’Italia.
Allo stadio c’è una vera atmosfera. Dietro la porta ci sono 20mila tifosi che urlano, quindi anche se il resto dello stadio è meno affollato, c’è comunque una grande atmosfera. Ma quando otteniamo i risultati, lo stadio si riempie sempre di più. Sta a noi assicurarci che ci siano persone. In Italia i tifosi vivono per la loro squadre.

L’ultimo trofeo della Roma risale al 2008, senti una pressione particolare su questo punto?
Onestamente no. Fonseca infonde in noi la cultura della vittoria. Mentalmente ci ha fatto evolvere, ma non mettiamo particolari pressioni su noi stessi.

L’Europeo si avvicina. Ci pensi?
È chiaramente un obiettivo. Ho già indossato la maglia della Nazionale a livello giovanile, sono stato addirittura campione del mondo con l’Under 20 nel 2013. Perciò quando vedi i tuoi ex compagni di squadra andare in Nazionale, dici a te stesso che anche tu vuoi essere lì. Oggi la Francia è campione del mondo in carica, ci sono qualità e grandi giocatori, ma sto facendo del mio meglio per esserci un giorno. Una chiamata mi renderebbe il più orgoglioso del mondo. A Roma ci sono tanti nazionali, dunque quando tutti se ne vanno e ti ritrovi solo in allenamento, pensi che vorresti partire anche tu. Ma cerco di rimanere concentrato.

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Per alcuni osservatori, Didier Deschamps non si preoccupa dei giocatori che giocano nei club più piccoli.
È sbagliato, lui e il suo staff guardano tutte le partite. Alla Fiorentina sono già stato convocato, il che dimostra che non guardano solo i migliori club europei. Spero davvero di essere convocato.

Segui ancora il Nantes?
Quando posso guardare le partite, lo faccio il più possibile. Questo fine settimana contro il Montpellier hanno fatto un’ottima partita. Nella ripresa hanno meritato chiaramente di vincere la partita. Lo seguo ancora e spero che giocherà una seconda parte di stagione importante.

Cosa ne pensi di quello che sta succedendo lì?
Francamente, ora che sono all’estero, non mi interessa la politica extra sportiva del club. Non sta a me parlare di questo argomento. E’ il mio club del cuore, vengo dal centro di formazione di Nantes e ho i miei parenti lì. Quando torno nella mia città, sono felice di incontrare i tifosi e parlare con loro, ma finisce lì.

Sappiamo molto poco di te, com’è Jordan Veretout in privato?
Cerco di rimanere la stessa persona di quando ho iniziato. Con i miei amici rido e scherzo. Qui sta andando tutto bene, ho mia moglie e le mie due figlie. Non mi piace divulgare la mia privacy, ma oggi sono una persona pacifica e serena. Non sono il tipo di persona che parla davanti a tutto il gruppo. Quando siamo in pochi mi capita di fare battute, ma per il resto non spetta a me parlare davanti a tutti i miei compagni. Quando parliamo di calcio con l’allenatore e la squadra, durante le sessioni video ad esempio, posso intervenire, ma non negli spogliatoi. Dzeko, Pellegrini e anche Mirante sono persone che lo fanno molto bene.

Ci puoi parlare dello spogliatoio romano?
Rido molto con Zaniolo. La prima volta che sono entrato negli spogliatoi sono rimasto colpito nel vedere Dzeko e Kolarov, è divertente perché sono grandi giocatori, con un’ottima carriera. Con Mkhitaryan siamo tanto amici, il rapporto che abbiamo è incredibile. Lo stesso con Pastore, ridiamo molto e in campo è un genio. Nel complesso, ti senti come se fossi in una squadra senza debolezze. Devi sempre dimostrare le tue qualità in allenamento, c’è una sana competizione che ci fa migliorare.

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Tornerai al Nantes un giorno?
Perché no. E’ la mia squadra preferita, ho vissuto grandi cose lì, come il ritorno in Ligue 1. Un calciatore professionista deve essere pronto a tutto. Non dobbiamo chiudere la porta a un ritorno in Francia, ma nemmeno a un altro campionato. Ma oggi sono completamente concentrato sulla Roma.

FOTO: Credits by Shutterstock.com

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