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Villar: “Non dobbiamo essere ossessionati dalla Juve e parlare di scudetto. Dzeko? Siamo una famiglia”
ULTIME NOTIZIE AS ROMA VILLAR – Gonzalo Villar, centrocampista della Roma, ha rilasciato un’intervista al quotidiano spagnolo ‘AS‘ parlando del suo momento personale e di quello dei giallorossi. Queste le sue dichiarazioni:
Sei in Italia da un anno ormai, come stai?
Sto benissimo, sono nel momento migliore della mia carriera da tanto tempo.
La partita con la Juventus è molto importante per voi
La squadra è pronta. Siamo riusciti a calmare l’umore dopo alcune settimane complicate. Vedo che la squadra sta bene psicologicamente. Siamo tornati sulla via della vittoria, ritrovando il nostro gioco, qualcosa che ci era costato molto nelle due partite precedenti.
La squadra di Pirlo è asimmetrica, con due linee da quattro, ma ha diversi registi anche sugli esterni: come potete farle male?
Abbiamo lavorato molto in funzione del nostro gioco, cercando le loro debolezze, che pure sono poche perché sono una grande squadra. Abbiamo uno stile di gioco molto definito con cui facciamo male a quasi tutte le altre squadre. Siamo terzi in campionato per meriti nostri. Anche se siamo davanti alla Juventus non dobbiamo esserne ossessionati, ma dare il massimo del nostro gioco.
Viste e due proposte di gioco, sarà una lotta per tenere il pallone
È la base del nostro gioco. Per questo ho scelto questo progetto e il tempo mi sta dando ragione. Anche la Juve vuole il pallone e hanno giocatori per farlo, sarà una grande battaglia per imporre il proprio stile.
Davanti a te e Veretout ci saranno Arthur, Rabiot e anche McKennie che è molto pericoloso in area
Il centrocampo della Juve ha qualità. Conosco bene Arthur, gli piace tenere il pallone, si gira bene ed è difficile levargliela. Si completa bene con Bentancur e Rabiot, poi c’è anche il fattore McKennie. È un giocatore intenso, bisogna averne grande attenzione. Però il nostro centrocampo è molto forte ed è pronto alla battaglia. A noi mancherà Pellegrini, che è un giocatore importante, però chi giocherà al suo posto lo farà molto bene.
Alla Roma si rimprovera il fatto che le manchi una vittoria contro una grande: vincere con la Juve potrebbe essere un punto di svolta?
Sarebbe un buon punto di svolta. Fino ad ora siamo stati impeccabili contro la maggior parte delle squadre. Però quando sono arrivati gli scontri diretti non siamo stati noi stessi, che è quello che ti porta a vincere. Con Inter, Milan e Juve all’andata abbiamo fatto bene, però ci manca questa vittoria contro una grande che dimostri che questa squadra gioca bene contro tutto il mondo e siamo in grado di essere al top.
Nello spogliatoio si parla di lottare per lo scudetto?
Sarebbe un errore pensarlo. L’obiettivo principale è entrare in Champions, però certo che non diciamo no a niente. Non ci mette paura questa cosa però ragioniamo partita dopo partita. Siamo terzi e la mentalità è quella di tenere il passo dell’Inter che è seconda (l’intervista è stata realizzata prima della vittoria nerazzurra a Firenze, ndr). Tenere il passo di chi ci sta davanti e recuperare il ritardo, così si raggiungono i traguardi. Certo che sarebbe bello lottare per lo scudetto alla fine della stagione.
La squadra viene da un momento complicato, con un cambio di capitano: Tiago Pinto ha spiegato che Dzeko non avrà più la fascia. Che ne pensi di questa decisione e di quello che è successo?
Penso che sia un tema su cui io non debba pronunciarmi. Lo ha già fatto Tiago Pinto. La Roma è un come una famiglia e tanto lo spogliatoio come tutti gli altri componenti del club vanno in un’unica direzione.
La tua evoluzione in Italia non poteva essere migliore: a 22 anni ti hanno dato le chiavi della squadra e i tuoi compagni ti cercano costantemente in campo
Il mio obiettivo era di essere un giocatore importante qui e devo ringraziare lo staff tecnico per la fiducia. Io la sto mettendo in campo, aiutando la squadra. Il fatto che i compagni mi cerchino mi dà grande fiducia, anche se sono pressato. Sanno che mi possono dare il pallone perché riesco a uscire e far giocare la squadra da un lato all’altro. Dirigere il ritmo della partita e guidare la squadra negli spazi mi piace molto. Non sono uno che cerca la giocata del match, ma di deciderne il ritmo.
I numeri dicono che sei il giocatore della Roma che tocca di più il pallone in ogni partita: è un qualcosa con cui nasci o lo impari?
L’altro giorno ne parlavo con Borja Mayoral. Credo di essere cresciuto in personalità, entro in partita con l’idea che devo avere il pallone il più possibile, senza togliere spazio ai compagni. Però sempre essendo un’opzione per passare il pallone, riceverlo e smarcarmi velocemente per dare nuovamente la possibilità al compagno. Preferisco toccare il pallone 100 volte in una partita, come col Parma dove penso di aver fatto il mio record, facendo giocare bene la squadra piuttosto che toccarla 20 volte e segnare il gol vittoria. Mano a mano ho più personalità.
Però sei anche il giocatore della Roma che ha più contrasti per 90 minuti e non eviti neanche il corpo a corpo: cosa ne pensi di questo dato?
Questo invece lo sto sviluppando. Nelle giovanili difendevo poco, mi sentivo un giocatore di qualità, è sempre stato il mio partner di reparto a fare il lavoro ‘sporco’. Però poi mi sono reso conto che nel calcio di oggi non è possibile, a maggior ragione ne ruolo in cui gioco ora. Giocando con Veretout, lui ha più libertà di correre e io, oltre a lavorare il pallone devo fare più lavoro difenivo. È una delle cose in cui mi sono dovuto sforzare, mio padre mi diceva sempre che avrei dovuto farlo. Mi sta aiutando la palestra, sono più preparato per vincere i duelli, saltare di testa o andare a terra, cosa che mi piace molto. Sono più completo.
Quello che sta incantando in Italia è la tua maniera di proteggere il pallone, la tua uscita dalla pressione: non c’è uno come te in Italia, ti paragonano a Iniesta però hai il baricentro molto più basso
È una cosa che ho fin da ragazzo. Prenderei il pallone e andre in avanti a dribblare senza mai fermarmi. Mi chiamavano ‘chupón’. Mi è sempre piaciuto molto. Al Valencia c’era un allenatore che mi ha detto che questa conduzione di palla non avrei potuto averla anche nel calcio professionistico e avrei dovuto giocare a due tocchi. Mi piace ricevere consigli, però se vedo che non funzionano allora li analizzo e decido se prenderli in considerazione o meno. Se ne prendi uno che influenza il tuo gioco allora non è la cosa migliore. Il primo giorno all’Elche il mister Pacheta mi ha domandato: “Cosa sai fare? Tenere palla? Allora fallo”. L’unica cosa che mi chiedeva era sapere quando farlo. Credo sia un fattore chiave nel calcio di oggi, sia fisico che tattico, dove non ci sono sbocchi, che un centrocampista riceva palla tra due avversari e riesca a liberarsi, superare la linea e dialogare col compagno. Se ne superi due sei già sicuramente 9 contro 11 e si genera il vantaggio. È un rischio farlo nella tua metà campo, però se riesci hai un grande vantaggio. Se lo faccio e poi dialogo nella metà campo avversaria con Mkhitaryan, con cui mi intendo a meraviglia, alla fine siamo nella trequarti offensiva con tante possibilità di fargli male con un passaggio ‘definitivo’. Quelli che faccio non sono solo dribbling per la gente, ma sono finalizzati a portare un vantaggio alla squadra.
Su Mkhitaryan
‘Miki’ è spettacolare. All’inizio della stagione ho parlato con lui, mi ha aiutato molto. Parlavamo in inglese all’inizio. Un giorno gli ho mandato un messaggio per dirgli che aveva fatto molto bene, ma lui mi ha risposto: “Sì, però non riesco a segnare”. Non lo accettava. Una settimana dopo ha cominciato a segnare e ora guardate il numero di gol e assist. È un giocatore incredibile.
Dei tuoi dribbling è diventato ‘virale’ quello su Lukaku, Barella e Brozovic contro l’Inter
Sono sicero… Ero pieno di fiducia perché avevo appena fatto un assist, ma se lo analizzi bene era il 92esimo e quasi ultimo uomo tra Lukaku, Barella e Brozovic. Se perdo il pallone, devo lasciare il campo incappucciato. È andata bene ed è finito tutto negli highlights.
Anche quando metti foto mentre studi diventano virali
Sì, perché non sembra normale che noi calciatori lo facciamo. Cerco di sforzami, a volte è difficile ma serve anche da esempio. Ci guarda molta gente, se mi guarda un bimbo penso che sia un buon esempio per lui. Che vedano quello che un calciatore dovrebbe anche essere.
In cosa ti senti di dover migliorare? Nel tiro in porta?
Sì. A livello fisico ogni volta mi sento migliorato, continuo a lavorare molto in palestra seguendo quello che mi dicono i preparatori e anche nel lavoro a parte con Pep Roig. Da quando ho iniziato a collaborare con lui, lo seguo quasi ogni giorno e lo prendo molto sul serio. Più che il tiro in porta, forse, arrivare di più in area per aiutare la squadra con i gol. Nel mio ruolo è difficile, perché cerco di rimanere più a protezione, però sì, magari qualche gol in più ogni tanto. Sono ancora agli inizi, non ho ancora fatto niente nel calcio, ma sono ambizioso e ho ancora molto da imparare.
Ci sono cinque spagnoli a Roma: immagino che la guida del gruppo è Pedro per la sua esperienza. Che importanza ha averlo al tuo fianco?
Per me, che sono cresciuto vedendolo vincere il Mondiale o giocare con Guardiola, è fantastico. Borja Mayoral, Carles Perez e io siamo ragazzi quindi ci piace molto ascoltare i più esperti che ci raccontano magari qualche storia. Nei raduni, dopo cena ci prendiamo spesso un caffè con Pedro, che ci racconta qualche storia. Noi rimaniamo sbalorditi con quello che ci racconta di Guardiola e di altri allenatori che ha avuto. Gli aneddoti sulla nazionale. Averlo è un privilegio e ancora di più che ci sia un gruppo di spagnoli amici tra loro. Stiamo molto tempo insieme.
Borja Mayoral ha fatto un passo avanti enorme e ha una media gol straordinaria
È a un livello incredibile, sono molto felice che sia venuto. Per prima cosa perché ogni giorno migliora e tutto quello che tocca lo mette in porta. Però soprattutto sta diventando uno dei miei migliori amici. Anche con Carles (Perez, ndr). Stiamo molto bene insieme.
Se qualche anno fa ci avessero detto che un giovane talento spagnolo sarebbe andato in Italia per crescere non ci avremmo creduto. C’è un cambiamento e non solo nei grandi giocatori, anche i più piccoli vogliono essere protagonisti in altri campionati
Chi non segue la Serie A pensa al catenaccio, ma vedono solo i risultati delle partite. È vero che qui si gioca quasi sempre con la difesa a cinque, ma questo è per tenere gli esterni altissimi. L’Italia è cambiata. Borja, Carles e io abbiamo deciso di venire qui per questa proposta. Un club estero come la Roma mi ha mostrato un progetto che qui in Spagna nessuno mi aveva mai messo davanti, senza mancare di rispetto a nessuno. In Spagna non mi hanno apprezzato molto, qui in Italia sono più conosciuto. Lì non giocavo in prima squadra. E non mi hanno mai apprezzato e valorizzato come quando è arrivata la Roma e mi ha presentato quel tipo di progetto tecnico. Alla fine ho fatto questo passo e sono felice. Avevo anche altre proposte e qui avrei dovuto cambiare paese, però questo mi ha aiutato a maturare, sono in una squadra top.
Parlavi di difesa a cinque, qui in Spagna sta arrivando ora: giochi molto con Spinazzola e Karsdorp
È incredibile quanto corre Spinazzola e Karsdorp è cresciuto molto. Sono due giocatori molto importanti perché giochiamo molto dentro il campo però poi ci allarghiamo. Stanno facendo una grande stagione e sono le chiavi del nostro gioco.
A fine stagione c’è l’Europeo Under 21: con questo livello si suppone che almeno sarai convocato
Non do più niente per scontato. Altre volte lo avevo fatto e invece poi è arrivata la bastonata. L’unica cosa che è nelle mie mani è fare il massimo possibile nella Roma per poi rappresentare il mio paese, la cosa più bella che c’è. Da qui all’estate ci sono tante partite internazionali della mia selezione e mi piacerebbe esserci, sarebbe un sogno.
E perché no, magari un salto ancora più grande dell’Under 21
Sono ambizioso, da bambino sogno si arrivare un giorno lì. Chissà. È sempre nella mia testa. Da quando gioco a pallone nel calcio professionistico è diventato un sogno. Devo continuare a superare i miei limiti.
Che ti dicono i tuoi compagni all’Elche?
Lì ho lasciato molti amici. Guardo tutte le partite e ho ancora un gruppo con alcuni di loro. Inoltre Gonzalo Verdù è come un fratello maggiore per me, parlo quasi tutte le settimane con lui. Poi mantengo anche contatti con Josan e Dani Calvo… Ora sono un po’ in difficoltà, ma spero che presto tornino a fare bene per salvarsi.
Come sta il kaiser Verdù…
È un grande centrale, ti fa sempre sbagliare, è imponente, un capitano vero. Tiene contatto con i giovani, usa il genio quando deve farlo, ti corregge in maniera gentile… Penso che possa stare in prima squadra per tanti anni.
È una coppia Gonzalo Villar-Javier Villar è passato per la tua testa?
Se devo essere sincero, mio fratello è super competitivo, è ancora nelle giovanili dell’Elche. A casa giocavamo e ci prendevamo a pugni, ma ha cinque anni meno di me anche se sembra sempre più grande. Dice sempre che vuole stare nella mia squadra rivale. Ci picchiavamo a morte (ride, ndr). Chissà magari un giorno giocheremo insieme. Se continua così e con la umiltà che ci ha insegnato la nostra famiglia, ci riuscirà.
La famiglia ti aiuta a tenere i piedi a terra?
Lo fa l’eduzione che mi hanno dato, ora non serve più che lo facciano tutti i giorni. Però sì, mi mantengono con i piedi per terra, altrimenti ci pensano i miei amici. Sono quelli che mi ‘distruggono’ di più. Se un giorno gioco bene, allora mi dicono ‘però fai meno gol di…’. È positivo, l’amico che ti lusinga tutto il tempo non ti aiuta.
Mister Pacheta è tornato in panchina e in Liga
È una stata una grande felicità. Mi ha chiamato prima per chiacchierare. Gli ho chiesto della sia situazione però non sapeva niente. Abbiamo parlato molto, lo considero un padre a livello sportivo. È un’altra delle squadre di cui vedo tutte le partite, l’Huesca. Spero che ribaltino la situazione e facciano un buon calcio.
Fino a quando vedremo Villar in Italia?
Sono completamente felice qui, sento un affetto che non ho mai sentito prima d’ora. Questo è molto importante per un giocatore. Sono appena arrivato e sono coinvolto nella creazione di una squadra vincente.
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