Zdenek Zeman

AS ROMA NEWS ZEMAN – Zdenek Zeman, ex allenatore di Roma e Lazio, è stato intervistato da Aldo Cazzullo sulle colonne del Corriere della Sera. Queste le sue dichiarazioni:

Lei è nato a Praga nel 1947, due anni dopo l’arrivo dell’Armata Rossa. Come ricorda la Cecoslovacchia comunista? 
“Odiavo i comunisti. Come li odiava mio padre, medico. Al piano di sopra abitava il capo del partito di Praga 14, il nostro distretto. Papà talvolta urlava dalla finestra del bagno la sua rabbia contro il regime. Ogni tanto qualcuno spariva”.

Infanzia dura. 
“Ci costringevano a festeggiare il compleanno di Stalin e di Lenin, ma io non ho mai portato un fazzoletto rosso. In compenso avevo una mazza da hockey e quattro palloni, anche se ogni tanto gli zingari me ne rubavano uno. Facevamo il catechismo di nascosto. Eravamo una famiglia molto cattolica”.

Roma è la sua città d’adozione.
“Vivo qui da 25 anni, ho allenato entrambe le squadre, e sia i laziali sia i romanisti mi vogliono ancora bene”.

Come trova la capitale? 
“È una splendida città antica, e una metropoli moderna piena di problemi che nessuno affronta”.

Perché? 
“Perché gli italiani rimandano sempre tutto a domani”.

Lei per quale squadra tifa?
“Sono sempre stato juventino. Da piccolo andavo a dormire con la maglia bianconera”.

Zeman juventino? Ma se avete avuto polemiche durissime.
“Con la Juve di Moggi, Giraudo e Bettega. Ma la Juventus non comincia e non finisce con loro. Era la squadra di mio zio Cestmir Vycpálek: il più grande talento del calcio cecoslovacco prima di Pavel Nedved, che portai in Italia. La differenza è che Nedved, lavoratore maniacale, voleva allenarsi pure il giorno di Natale; mio zio invece amava le gioie della vita. Era stato a Dachau, e il lager l’aveva segnato. Ma mi dicono fosse birichino anche prima”.

Nel 1978 frequentò il supercorso di Coverciano, con Arrigo Sacchi.
“C’erano anche Agroppi e Mondonico. Uno psicologo ci fece il test dell’ansia: trenta domande cui rispondere con la massima sincerità. Il più ansioso era Agroppi con il 90%, poi Mondonico con l’80. Pure Sacchi non scherzava”.

Gianni Brera la definì «tetro ginnasiarca, carceriere dello Spielberg». 
“Pesavo i giocatori ogni mattina. Più si allenavano, più la partita diventava un divertimento. A fine stagione le altre squadre erano stanche; le mie correvano più di prima”.

A Foggia inventarono la parola Zemanlandia. 
“Erano appena stati promossi in B. Il primo anno arrivammo ottavi, il secondo vincemmo il campionato. Signori-Baiano-Rambaudi fecero 48 gol”.

Al Nord lei non ha quasi mai allenato.
“Al Centro-Sud si mangia calcio. Una volta Boksic mi disse: a Torino vinci lo scudetto e dopo un’ora non frega niente a nessuno; a Roma avremmo festeggiato mesi”.

Nella capitale lei arrivò nel 1994, ad allenare la Lazio.
“Firmai nella sede della Banca di Roma, e trovai la cosa molto strana. C’era pure Geronzi, il banchiere, e mi chiese quale allenatore avrebbe dovuto prendere la Roma. Lui pensava a Trapattoni”.

Ma nel 1997 ad allenare la Roma andò lei. 
“La Lazio mi aveva esonerato. Suona il telefono: “Sono il presidente Sensi”. Buttai giù: “E io sono Napoleone”. Era Sensi per davvero”.

Lei denunciò l’abuso di farmaci nel calcio. La Juve finì sotto processo.
“Ma solo perché a Torino c’era un magistrato coraggioso, Guariniello. Io ho puntato il dito contro il sistema, non solo contro la Juve, che aveva molti seguaci. E il problema non erano solo i farmaci. Erano anche i passaporti falsi. Era anche il condizionamento degli arbitraggi. Era anche lo strapotere della finanza”.

A cosa si riferisce? 
“Al Nord c’era l’alleanza tra Juve e Milan; l’Inter ne era esclusa, e cercava di entrare nel sistema pure lei. Altre squadre, dal Parma alla Lazio al Perugia, erano in mano alla Banca di Roma: Tanzi e Cragnotti ne uscirono rovinati, come pure Gaucci. Che fece in tempo a caricare il suo Perugia a pallettoni, per far perdere lo scudetto del 2000 alla Juve, sotto il nubifragio”.

Come andò con la Roma? 
“Il campionato 1998-1999 fu un calvario di torti arbitrali, che costarono alla mia Roma almeno 21 punti. A Udine ci inventarono un rigore contro. Avevamo un attaccante, Fabio Junior, immeritatamente detto l’Uragano blu, che non segnava mai; quando finalmente fece un gol, glielo annullarono, non si è mai capito perché. Episodi assurdi. I calciatori videro che i loro sforzi erano inutili, e qualcuno mollò. La quartultima giornata perdemmo 4 a 5 con l’Inter all’Olimpico. Si disse che l’Inter avesse contattato tre dei miei in vista dell’anno successivo. Ebbi l’impressione che alcuni fossero distratti, c’erano difensori che facevano i centravanti… Così con Sensi decidemmo di fare nuovi acquisti”.

Invece Sensi la mandò via. 
“Il sistema lo convinse che con me in panchina non avrebbe mai vinto nulla”.

Arrivò Capello, e nel 2001 vinse lo scudetto. 
“Ma con spese folli, tipo i 70 miliardi per Batistuta trentunenne, che costarono a Sensi il tracollo finanziario. E Capello non partecipò alla festa al Circo Massimo, che io non mi sarei perso per niente al mondo. Invece mi ritrovai senza contratto; del resto avevo sempre voluto accordi annuali. Mi avevano cercato il Real Madrid, il Barcellona, l’Inter. E avevo detto no a tutti”.

Il giocatore più forte che ha mai avuto? 
“Totti. Pareva avesse quattro occhi, due davanti e due dietro. Gli ho visto fare cose che sorprendevano tutti, anche me dalla panchina. Un’intelligenza calcistica prodigiosa. L’ho allenato due volte, quando aveva ventun anni e quando ne aveva trentasei, al mio ritorno alla Roma. Mi ha sempre seguito. E non abbiamo ma litigato”.

D’Alema dichiarò: «Zeman? A volte dire la verità è colpa gravissima».
“Era presidente del Consiglio, venne a trovarci a Trigoria. Non ha le mie idee politiche; ma l’importante era che fosse romanista”.

Quali sono le sue idee politiche? 
“Sono amico di Alessandro Di Battista. Mi ha anche proposto un seggio al Senato; ma la politica non fa per me, e forse neanche per lui. Nel 2018 però ho votato Cinque Stelle”.

Sempre antisistema.
“Qualche sistema buono ci deve pur essere. Però ne ho conosciuti pochi”.

Resta il fatto che lei non ha mai vinto nulla.
“Ma ho regalato emozioni, lanciato talenti. Il calcio è un gioco, e io l’ho vissuto così. Ho sempre preferito vincere 5 a 4 che 1 a 0”.



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