Daniele De Rossi, centrocampista della Roma, ha rilasciato un’intervista al canale tematico del club giallorosso:
A quanti ritiri è arrivato con la Roma?
Il primo è stato nel 2001-2002, l’anno dell’invasione a Kapfenberg: la Roma aveva appena vinto lo scudetto, fu un’esperienza indimenticabile. C’era un entusiasmo contagioso. Questo è il sedicesimo ritiro. E’ un orgoglio, anche sintomo di grande continuità, anche a livello fisico è importante.
Si guarda mai indietro, a quando era ragazzo e faceva il raccattapalle?
Si, ci riguardo. Quando si è ‘vecchietti’, calcisticamente parlando, si tende a ricordare, senti un po’ il tempo che sta per scadere. E’ una sensazione spiacevole lì per lì, ma è una cosa con la quale bisogna convivere e con della quale parlo con i più giovani: devono godersi le “rotture” del ritiro, e la lontananza dagli amici e dalle fidanzate, di godersi tutto perché è una cosa bellissima e non è eterna. Quando ripenso a quei momenti penso di essermi annoiato di una cosa bellissima.
Lei come trova le motivazioni ogni stagione? E’ più facile o più difficile trovarle?
Più difficile perché il fisico lo decide la natura quando regge. Per ora va tutto bene ma devi avere una cura incredibile del tuo fisico, più quando sei vecchio che quando sei giovane, quando entri in campo e calci a freddo, scatti, ti diverti e ridi. Quando sei vecchio: la fascia, il massaggio, lo stretching, la cura maniacale del dettaglio. E’ difficile da quel punto di vista, ma sotto l’aspetto delle motivazioni è sempre uguale, me le dà l’amore per quello che faccio e per la squadra per la quale gioco e la richiesta costante di prestazioni che ha questa città per chiunque ma in particolare per me. C’è questo grande obiettivo di ripetere la stagione che ho fatto l’anno scorso, questa cosa mi tiene vivo.
Lei è stato fortunato perché ha studiato da capitano gradualmente, quest’anno è senza paracadute… Come vive questa responsabilità totale?
Siamo un po’ tutti vedovi del nostro capitano storico. Io ho fatto il capitano anche l’anno scorso, il 90% delle partite l’ho giocate con la fascia al braccio, sapevo che iniziando il ritiro Francesco avrebbe giocato di meno ed era abbastanza evidente. Anche l’anno prima… Dal punto di vista pratico e di minuti in campo con questa benedetta fascia non cambia l’approccio alla stagione, cambia perché manca il simbolo, che portava la gente allo stadio, in ritiro. Adesso i tifosi ce li dividiamo: una volta erano tutti quanti per lui, il 28 maggio è superfluo commentarlo. Una responsabilità in più per noi, per me in particolare. Una cosa che doveva succedere: il nostro fisico, la nostra carriera non è eterna e quella di Francesco è stata anzi quasi eterna.
La spaventa un po’ pensare che tanta gente la guarda come un simbolo, un esempio?
Fa parte della mia quotidianità, ma è sempre un grande onore e una responsabilità forte. Ho sempre lavorato in questa direzione per diventare qualcosa di importante per la gente che tifa la Roma. Lo sono diventato e ho una grande responsabilità, le pressioni non le ho mai sofferte grazie a Dio, da quando ho cominciato a giocare in maniera molto serena e tranquilla. Ma poi a partita finita sono uno che sente il peso della responsabilità di questo amore forte che c’è per la squadra da parte dei tifosi e che fortunatamente io posso condividere. E c’è responsabilità perché la vivo quasi in maniera viscerale, e questo porta ad esagerare e avendo 34 anni devo anche dare una sorta di equilibrio a questa mia focosità in campo e forse la fascia deve responsabilizzarmi un po’ di più.
Che effetto le ha fatto trovare Di Francesco come allenatore?
L’ho vissuto in tante forme diverse, sotto tanti punti di vista. E’ una nuova esperienza, un ruolo nuovo, per me vedere lui è una cosa nuova ma se fosse arrivato un altro allenatore sarebbe stata comunque una novità. Il fatto che io un po’ lo conosca e sappia che è una brava persona mi aiuta a partire con il piede giusto. Conoscerlo non mi darà vantaggi o svantaggi, o meglio, il piccolo vantaggio di conoscersi e di sapere che siamo due persone che voglio il bene della Roma. Io sono un giocatore come tutti gli altri, non c’è fascia o conoscenza dell’allenatore che possa avvantaggiarmi in nulla. Io devo sudare come tutti gli altri, rispettarlo come tutti gli altri, nulla di nuovo. Se fosse arrivato ‘pinco pallino’ avrei fatto le stesso identiche cose che ho fatto fino ad ora.
Quando legge che lo schema è 4-3-3 non si preoccupa?
No (ride, ndr). Il 4-3-3 è stato uno degli schemi che ho utilizzato con tutti gli allenatori: lo hanno fatto Spalletti, Luis Enrique, Zeman, Garcia… E’ un modulo che mi piace, che viene interpretato in diverse maniere per chi lo applica. Stiamo lavorando forte per assimilare i concetti del mister che sono per certi versi simili a quelli che proponeva Zeman, ma da un punto di vista offensivo può essere solo un bene.
Lei che ruolo ha?
Non come qualità ma per caratteristiche e intelligenza tattica sono un po’ unico, atipico. Finché il fisico è stato forte a livello atletico ero una mezzala che segnava tanti gol, che difendeva, attaccava e impostava. Poi sono diventato un centrocampista centrale, posso giocare a due come fatto l’anno scorso con Spalletti, sia da mediano davanti alla difesa. Poi all’occorrenza ho fatto il difensore, poco, ma con risultati sempre buoni. Sono un jolly che si mette a disposizione con grande entusiasmo: pensare di saper fare più ruoli è una motivazione perché ti senti sempre importante e un occhio lo butti sempre. Se manca un difensore potrei giocare lì, lo scorso anno un paio di volte ho giocato difensore quando è mancato Fazio, una mi sembra in Austria. Ci si mette a disposizione, poi dopo le caratteristiche sono quelle: centrocampista centrale, niente di straordinario.
Alla fine della partita contro il Tottenham ha coccolato Under…
Sono un po’ protettivo, deve essere difficile, io non l’ho mai provato ma se avessi cambiato squadra o se dovessi mai cambiarla dopo che ho vissuto tutta una carriera in un club vorrei che qualcuno mi accogliesse e mi facesse sentire ben accetto, vorrei che qualcuno mi dicesse “Ti vogliamo bene anche se sei nuovo, anche se non parli una parola di inglese”. E’ una agazzo giovane e molto bravo: cerchiamo in tutti i modi non di pressarlo perché vogliamo sentirlo a disagio ma parte del gruppo. E’ un giocatore importante, lui si è fatto trovare pronto: questo può velocizzare il processo di inserimento all’interno della squadra e noi siamo contenti quando segna un giovane. Dopo ho abbracciato Tumminello che anche lui è giovanissimo, ormai lo conosciamo da anni. Ci tengo ai giovani, sono la base di questa squadra. Ci tengo perché alcuni li ha allenati mio padre per tanti anni e lo conosco particolarmente bene e ci tengo perché vorrei che tutti si sentissero veramante a casa come mi ci sono sentito io.
Under è uno dei nuovi che l’ha impressionata di più
Tutti i nuovi mi hanno lasciato felicemente sopreso, mi hanno colpito. Gonalons, Defrel li conoscevo meglio, Kolarov non c’è bisogno di descriverlo. Under è il più giovane non l’avevo mai sentito nominare, ma ci sta facendo capire perché la Roma ci abbia investito. Non saprei sceglierne uno. una squadra che era già forte, abbiamo persi importanti, è inutile negarlo: Salah, Ruediger erano l’anima dello spogliatoio, Szczesny non era della Roma ma è un pezzo che è venuto a mancare. La sensazione è che si stia vivendo bene già da adesso, che i giocatori sono stati rimpiazzati con gente brava e di personalità. E’ importante la personalità del giocatore tanto quanto la qualità che si mostra in campo.
Sul calendario come si approccia?
Mi interessa perchè ho l’adrenalina di iniziare, odio le amichevoli che sono inutili ma che in realtà non lo sono, ma che hanno valenza inferiore rispetto a quelle del campionato. L’inizio non poteva essere migliore o peggiore a seconda dei punti di vista. E’ bello iniziare con partite impegnative, importanti anche dal punto di vista climatico: la la seconda contro l’ex mister porterà tanti risvolti. Dal punto di vista di qualità incontriamo squadre forti, ci dovremmo sudare questi 6/9 punti iniziali.
Questa Juventus è veramente inarrivabile?
La speranza c’è sempre, sui 4 punti dello scorso anno ci si può lavorare, ma bisogna analizzarli, potevano essere di più perché loro hanno un po’ tirato il freno, ma non ci deve interessare, quest’anno sarà ancora più dura, ma dobbiamo provare a colmare questo gap e tirare su qualcosa di importante per i tifosi.
FOTO: Credits by Shutterstock.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA