“Tanto probabilmente fra un mese mi avrebbero cacciato lo stesso, dopo la fine della trattativa sullo stadio della Roma, che loro vorrebbero chiudere in un modo e io in un altro”. Una frase, quella detta da Paolo Berdini, (quasi ex) assessore all’Urbanistica della Giunta Raggi, a Repubblica, che, in qualche modo, rappresenta un altro j’accuse dell’Urbanista anarcoide alla compagine governativa pentastellata e, contemporaneamente, anche il suo passaporto per una verginità politico-amministrativa.

Lui, Berdini, l’ha sempre detto: lo Stadio della Roma (di cui è tifoso) sì. Ma non a Tor di Valle, non quel progetto, non quelle cubature, non quell’iter. Dall’altro lato, dopo le posizioni dure e pure di Raggi, Frongia, Stefàno e De Vito contro lo stadio quando erano opposizione e in campagna elettorale (la Raggi a RadioRadio: “Toglieremo il pubblico interesse”), è subentrata la real politik: sì perché è ora di iniziare a fare qualcosa, non si può dire sempre e solo “no”.

Per cui, da un lato Berdini (più una esigua pattuglia di tre consiglieri, poi scesi a due) facenti parte dell’ala talebana antistadio senza se e senza ma. O, meglio, dell’ala: “sì allo stadio ma non lì e non così”. E dall’altro, la stragrande maggioranza del gruppo consiliare, compreso il presidente del Consiglio comunale, De Vito, e il capogruppo, Ferrara, schierati per il sì ma con trattative. La necessità di mostrare un unico fronte comune e il fatto che Berdini in una materia già complessa di suo come l’urbanistica fosse anche l’unico in grado di capire cosa e come farlo, hanno bloccato il Comune: nessuna delle due frange abbastanza forte da prevalere sull’altra ma entrambi abbastanza forti da riuscire a bloccarsi reciprocamente.

Berdini la trattativa voleva e vorrebbe chiuderla tagliando. Zero torri, zero cubature. E, quindi, zero opere pubbliche. Nuova localizzazione decisa dal Comune e non dai privati (Berdini’s version), nuova delibera e ricominciamo da capo. Questo vorrebbe anche dire rischiare una causa con tanti di quegli zeri di risarcimento da sconsigliare a chiunque di diventare il ragioniere generale del Campidoglio.

Gli altri vorrebbero chiuderla tagliando un po’ di cubature (si parla di un 20%) e, magari, alzando un po’ la quota delle opere pubbliche pagate direttamente dai proponenti senza che vi siano in cambio cubature aggiuntive. Un po’, in sostanza, quello che fecero Marino e Caudo nella prima fase della trattativa: alzare i costi e diminuire le cubature.

Uno scontro comunque fra due posizioni insanabili in cui l’anima movimentista dei 5Stelle percepisce un afflato di vicinanza con le posizioni intransigenti di Berdini mentre l’anima governativa, magari facendo solo buon viso a cattivo gioco, sa di dover iniziare a portare a casa risultati: opere pubbliche, posti di lavoro, economia che riparte. Senza pensare troppo a come sarebbe bello il mondo di Utopia.

(Il Tempo – F. Magliaro)



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