Patrik Schick

(Gazzetta dello Sport – M. Cecchini/D. Stoppini) La Roma ci crede, basando le proprie certezze su 3 basi: un cambio di sistema di gioco che possa non lasciare la difesa in balia dei satanassi del Liverpool; la vitamina rappresentata dall’innesto di Schick fin dal primo minuto (ci sarebbe anche Perotti, ma l’argentino è uscito con problemi a caviglia e polpaccio sinistro ed è a rischio); la resurrezione di quella vecchia guardia – De Rossi, Manolas, Strootman, Florenzi e Kolarov su tutti – che ad Anfield non è stata all’altezza della situazione.

Cominciamo da qui, dalla chiamata in causa di Eusebio Di Francesco a tanti che avrebbero potuto fare di più. “Mancanza di personalità”, ha detto l’allenatore giallorosso. E se il discorso, ad esempio, potrebbe valere anche per Juan Jesus o Under, è logico che non era da loro che ci si aspettava una prova da veterani. Avviso ai naviganti: tutti credono nella rimonta, e lo stesso Di Francesco lo ha ribadito ieri a un gruppo che ha ancora nella mente la prova col Barcellona, che ha certificato come questa squadra non sia una “parvenu” a questi livelli. “Potevano ucciderci e non l’hanno fatto: ora abbiamo ancora chance”, ha certificato ieri Monchi. Il problema è: come? Visto come si è mossa la Roma nel finale, è probabile che il tecnico giallorosso scelga di ripuntare sulla difesa a quattro, con un centrocampista in più pronto ad abbassarsi quando occorre difendere sulle ripartenze inglesi, e ad alzarsi nel pressing e nella ricerca della profondità. Il sistema di gioco degli ultimi minuti è stato addirittura un 4-4-2, ma difficilmente potrebbe essere riproposto se Perotti non ce la farà (probabile). A quel punto si punterà sul solito schema 4-3-3, ma con Schick al posto di Ünder, sperando che l’attaccante ceco dia seguito alle ultime buone prestazioni, visto che proprio sabato scorso ha segnato il suo primo gol in campionato con la maglia giallorossa contro la Spal. Sì, proprio Schick, l’uomo che si trova quasi all’improvviso dentro il suo momento migliore con la maglia della Roma. Tardi perché il suo bilancio stagionale sia alla fine positivo, ancora in tempo per scrivere qualche pagina importante, anche per una volata Champions tutt’altro che scontata.

Il calcio è un insieme di attimi da piazzare uno dopo l’altro. Questo è il suo attimo. In fondo, che i limiti di Schick fossero soprattutto caratteriali, strozzato com’era (com’è ancora?) dal prezzo del suo cartellino, non ci sono dubbi. Ma il ceco ad Anfield ha di fatto da solo dato linfa all’attacco giallorosso, rendendo la vita meno complicata al centravanti Dzeko, non fosse altro che per una questione di chili e centimetri rispetto a Ünder. Chili e centimetri che non sono certamente stati i problemi maggiori di una vecchia guardia che magari si fosse davvero dimostrata vecchia, a fronte del Liverpool.

Di Francesco ha battuto più volte il tasto dell’inesperienza e della scarsa personalità messa in campo dai giocatori. De Rossi, pur dopo un inizio promettente, è stato via via travolto dai ritmi asfissianti dei Reds. Strootman non ha mai “visto” il compagno di nazionale Wijnaldum, il cui ingresso si è rivelato uno dei fattori decisivi del match. Manolas non ha trovato i tempi del raddoppio di marcatura, specie dalla parte di Juan Jesus. Florenzi e Kolarov, gli uomini che in virtù della difesa a tre avrebbero dovuto garantire una fase offensiva degna, sono stati travolti dagli eventi, anche se con le dovute differenze (peggio l’azzurro dell’esterno serbo). Ecco: l’appello di Eusebio Di Francesco alla poca personalità vale come un pungolo in vista del ritorno all’Olimpico.



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