Spalletti ha messo la sua firma, chiara e inequivocabile, sul derby. Perché, al netto degli errori di Wallace e di Marchetti che hanno sicuramente favorito i gol di Strootman e Nainggolan, è stato il toscano a impossessarsi del match. Che ha studiato e preparato appena ha avuto la certezza di non poter schierare Salah, il suo titolare inamovibile (33 gare su 33 in campionato fino a domenica pomeriggio). E che, dopo averlo pensato tatticamente in un modo, ha avuto anche la capacità di rivisitare in corsa, modificando il sistema di gioco già alla metà del primo tempo e invertendo i mediani all’inizio della ripresa. Lucio, e non solo per dar forza nello spogliatoio della Roma ai presenti più che gli assenti, si esalta spesso nell’emergenza. Quando sa che deve pedalare contro vento, difficilmente viene colto impreparato.

MAI SNATURARSI – Sa, insomma, come intervenire. Prima e durante. Anche cambiando l’assetto e qualche posizione in campo, ma senza andare ad intaccare l’identità della sua squadra. E senza rinnegare il suo calcio che, a prescindere dagli interpreti, vuole che sia comunque propositivo. Sulle fasce, ad esempio, ha sempre costruito la fortuna dei gruppi che ha allenato. Per il suo 10° derby gli sono mancati contemporaneamente sia Florenzi che Salah, i 2 nazionali che, con caratteristiche diverse, sono i migliori esterni che ha in rosa: il primo perché sa adattarsi, e bene, in più ruoli, l’altro perché è l’attaccante più imprevedibile (e più veloce) nell’uno contro uno. Come se non bastasse, l’unico terzino di ruolo, Mario Rui, non ha ancora giocato nemmeno 1 minuto (domenica è andato per la prima volta in panchina) ed El Shaharawy è stato recuperato solo in extremis. Così in settimana ha addestrato Emerson e Ruediger, affidandoli al suo collaboratore Baldini, per spiegar loro i movimenti della linea a 4 che, in fase di possesso palla, sarebbe diventata a 3. Quando, però, ha visto la Roma subire la Lazio nella parte iniziale della partita, non ha aspettato certo ad abbandonare il 3-4-2-1 che ha penalizzato Dzeko e spinto fuori dal coro soprattutto Perotti e lo stesso Peres, sistemato in alto a destra per attaccare Lulic. L’allenatore ha, dunque, proposto il piano di scorta. Sono bastati pochi aggiustamenti per restituire le certezze di cui i suoi giocatori hanno bisogno quando la gara si complica. Era già successo, il 15 ottobre al San Paolo, nel pomeriggio più insidioso in cui ha poi conquistato il successo più convincente e forse anche più significativo: 3 a 1 al Napoli. Partì con la difesa a 3, alzando Florenzi a centrocampo, ma dopo meno di un quarto d’ora tornò alla linea a 4, senza avere specialisti da usare sui lati (a sinistra finì il centrale Juan Jesus) per bloccare sui lati Callejon e Insigne. Proprio quanto è successo con Felipe Anderson e Keita.

NESSUN ESPERIMENTO – Il ritorno di Spalletti al 4-1-4-1 non deve, però, sorprendere. E’ stato, da sempre, il passaggio obbligato al momento di cercare l’equilibrio e al tempo stesso l’efficacia. Lo cominciò a usare, ad intermittenza, nella seconda stagione della sua prima avventura a Trigoria. E lo presentò, il 12 settembre 2006 all’Olimpico, nella notte del suo debutto in Champions: 4 a 0 contro lo Shakhtar Donetsk, con il risultato, come domenica, sbloccato nella ripresa. «Noi sappiamo adattarci a più sistemi di gioco» ha ripetuto anche alla vigilia del derby. Andò così nel settembre 2006: prima di battere la formazione ucraina, scelse il 4-2-3-1 per superare il Livorno; dopo la gara di coppa, confermo il 4-1-4-1 e andò a prendersi i 3 punti a Siena. Sono, quindi, i 2 moduli che più esaltano il suo calcio e che non abbandona mai. La vittoria con la Lazio ne è l’ultima dimostrazione.

DAL PASSATO AL FUTURO – La Roma è camaleontica perché così la vuole i suo tecnico. Che, però, evita di mettere i giocatori fuori ruolo. Ma, nelle esercitazioni quotidiane, li fa abituare a diverse posizioni per essere pronti, all’occorrenza, a occuparle in partita. Bastano pochi metri indietro di Strootman e altrettanti in avanti di Nainggolan per passare proprio dal 4-1-4-1 al 4-2-3-1. E’ solo un caso che siano stati i marcatori nel derby. Non lo se si va a vedere con quale convinzione abbiano svolto il compito affidatogli ad inizio ripresa. Pressing alto e in sintonia con la linea difensiva e con gli esterni Perotti e Peres. La Lazio non ha tirato mai nello specchio della porta e i giallorossi, per la quinta volta in campionato (6° match su 22, contando anche quelli nel play off di Champions e in Europa League), non hanno subito reti. E l’attacco, pur creando meno chance che in altre partite, non ha fatto cilecca, restando sempre il migliore della serie A. Il doppio gioco che ha funzionato nel derby può dunque aiutare Spalletti nei prossimi scontri diretti: lunedì all’Olimpico contro il Milan e sabato 17 allo Stadium contro la Juventus. Per scalare la classifica.

(Il Messaggero – U. Trani)



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