Rassegna stampa
Addio a Da Costa, il giallorosso che ha fatto impazzire Lovati
ULTIME NOTIZIE AS ROMA MORTE DINO DA COSTA – Questo 2020 che non vuole finire mai, anno bisesto, anno funesto ci ha portato un’altra tristezza: è scomparso ieri a 89 anni, a Verona dove ormai si era accasato, Dino Da Costa. Il re del derby, quando, nella seconda metà degli Anni Cinquanta, vestiva di giallorosso. Il re del derby perché il centravanti brasiliano è tuttora il romanista che ha segnato più volte ai dirimpettai della Lazio, riferisce Il Messaggero.
Dodici, dicono le statistiche ufficiali; tredici, dice chi gli assegna anche un pallone finito in rete per la deviazione del difensore biancoceleste, Franco Janich (con le regole di oggi non ci sarebbe da discutere); quattordici, diceva lui, perché nel suo conteggio della felicità stracittadina metteva anche una rete messa a segno in quel di Frascati, durante un incontro fra vecchie glorie (che spesso sono le glorie migliori, condite di nostalgia).
Fu anche il re di coppe; mica per la Roma, con la quale vinse comunque la famosa e celebrata Coppa delle Fiere; ma perché, passato poi Fiorentina, anche lì vinse coppe, pure internazionali; e nella stagione in cui indossò la maglia nerazzurra dell’Atalanta, ancora una volta alzò un trofeo, la Coppa Italia, che fin qui è l’unica nella storia bergamasca, particolarmente gloriosa di questi tempi. Lo prese la Juve, ci restò tre anni, e anche lì, dove vincere coppe è normalità purché non si tratti di quelle dei campioni, vinse ancora.
I suoi gol furono tanti: nella Roma, dove arrivò nel 1955, 71. In una stagione, quella del 56-57, arrivarono a 22 e lui fu il capocannoniere: aveva fatto il suo dovere, che era il suo mantra. Raccontava: «Quando ragazzino debuttai contro il Vasco de Gama, mi tremavano le gambe; ma quando tornai negli spogliatoi l’allenatore mi disse hai fatto il tuo dovere’: mi è rimasto in testa ed ho sempre cercato di farlo». Cercato e riuscito. Del resto il gol era nel dna di Dino, come lo chiamavano in Brasile: giocò nel Botafogo, con Garrincha e Vinicio, 144 partite ma i gol furono di più: 167.
Con il Botafogo venne in tournée in Italia e non partì più: gli osservatori della Roma lo ingaggiarono. C’era il blocco degli stranieri, ma Dino Da Costa, come tanti altri, aveva antenati italiani, almeno uno, di quando i migranti eravamo noi. Rientrò dunque nella categoria degli oriundi, fatta come escamotage per consentire tesseramenti altrimenti proibiti dal protezionismo in corso. Vinicio andò al Napoli. Dino Da Costa fu il primo brasiliano della Roma.
Dopo un po’ a suon di gol, riuscirono pure a farlo italiano: sui documenti diventò soltanto Costa ma il cambiamento di passaporto gli consentì anche di indossare la maglia azzurra: una volta sola, e in questa il nostro re del derby e di coppe non fu fortunato, perché la partita per la quale venne convocato fu quella contro l’Irlanda del Nord che doveva qualificare l’Italia ai mondiali svedesi del ’58, i primi mondiali di Pelè. L’Italia perse 2 a 1 e restò fuori dal gran torneo.
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