Solo una volta nell’era Usa, cioè dal playoff di Europa League a Bratislava al Viktoria Plzen, la Roma è riuscita a vincere in trasferta nelle competizioni continentali. Una gioia, una gioia sola contro il Feyenoord, sedicesimi di Europa League del 26 febbraio 2015. Il resto è un pieno di brutte figure, leggi Borisov e una rifinitura fatta altrove perché non c’era un buon albergo in città, la goleada del Barcellona perché tanto la partita nulla valeva (copyright Rudi Garcia), il k.o. di Bratislava con Thomas DiBenedetto a fare il giro di campo. Qua e là pure qualche buon pareggio (Manchester City, per esempio), quasi mai però decisivo ai fini di una qualificazione.
I motivi sono molteplici e chiamano in causa una mancanza di esperienza internazionale, come pure un atteggiamento rinunciatario e superficiale in alcune trasferte di Europa League. Stavolta non si scherza però. Perché il 3-3 subito in rimonta dall’Austria Vienna all’Olimpico obbliga Luciano Spalletti ad andarsi a giocare la partita con la Roma migliore. «Per vincere in trasferta serve fare di più», ha ammonito il tecnico domenica scorsa. Il riferimento è a una squadra che lontano dall’Olimpico viaggia con una marcia più bassa: in casa, in campionato, sono arrivate cinque vittorie su cinque, in trasferta due successi, due pareggi e due sconfitte. Troppo poco per sognare, abbastanza stimolante per provare a fare uno sforzo: delle prossime sei partite, derby compreso, la Roma giocherà lontano dall’Olimpico solo la gara di domani e quella del 20 novembre con l’Atalanta.
E allora non resta che piazzare un colpo fuori casa e mettere in cassaforte la qualificazione. I quarti di finale di una competizione europea mancano alla Roma dal 2007-08: l’allenatore, allora come oggi, era Spalletti.
(Gazzetta dello Sport)
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