Andrea Agnelli sarà costretto a gestire con attenzione la doppia inchiesta – quella dei magistrati di Torino e quella del procuratore federale Figc – sul presunto accordo tra la Juventus e i gruppi ultras per assicurare la quiete allo stadio, sul bagarinaggio massiccio e sugli affari della malavita organizzata. Dal punto di vista sportivo, una giustizia che applica le proprie regole ai tesserati del pallone, la posizione del presidente bianconero è parecchio scomoda. Scrive l’ex prefetto Giuseppe Pecoraro, il procuratore della Federcalcio, nel documento di chiusura indagini spedito anche al figlio di Umberto e agli altri dirigenti coinvolti: “Con il dichiarato intento di mantenere l’ordine pubblico nei settori dello stadio occupati dai tifosi ‘ultras’, (Agnelli) non impediva ai tesserati, dirigenti e dipendenti della Juventus di intrattenere rapporti costanti e duraturi con i cosiddetti gruppi ultras’, anche per il tramite e con il contributo fattivo di esponenti della malavita organizzata, autorizzando la fornitura agli stessi di dotazione di biglietti e abbonamenti in numero superiore al consentito, anche a credito e senza presentazione dei documenti di identità dei presunti titolari, così violando disposizione di norme di pubblica sicurezza sulla cessione dei tagliandi per assistere a manifestazioni sportive e favorendo, consapevolmente, il fenomeno del bagarinaggio”.
Poi gli inquirenti sportivi inseriscono nel testo l’accusa più grave per Agnelli: “Ha partecipato personalmente, inoltre, in alcune occasioni, a incontri con esponenti della malavita organizzata e della tifoseria ‘ultras'”. Questo è il passaggio più compromettente per il presidente bianconero, firmato da Pecoraro che in novembre ha ricevuto gli atti da Torino e, dopo ulteriori accertamenti, ha deciso di non archiviare. La Juventus ha risposto con le controdeduzioni e ha indicato, come persona informata, l’amministratore delegato Beppe Marotta, che nell’ultimo periodo è uscito dalle grazie di Agnelli. I rilievi di Pecoraro e colleghi sono ispirati dalle carte di Torino e dalle deposizioni di Rocco Dominello, identificato come esponente della cosca Pesce-Bellocco della ‘ndrangheta. Nel corso dell’indagine “Alto Piemonte” non erano emerse frequentazioni e incontri diretti con la Juventus, ma un’intercettazione ha instillato qualche dubbio. Così tra luglio e agosto gli investigatori hanno cercato di approfondire. Il risultato, per i suoi risvolti penali, è uno: al termine dell’indagine nessun dirigente è indagato, ma la Juve non è neanche ritenuta parte offesa dalle pressioni esercitate dagli ultras. Come risulta dai verbali, gli inquirenti si sono posti il dubbio a partire da un’intercettazione precisa: “Io vado a trovare il presidente Andrea Agnelli in ufficio ogni tre per due”, diceva il 15 gennaio 2014 Fabio Germani, ex ultrà e presidente dell’associazione “Italia Bianconera” al responsabile della biglietteria juventina Stefano Merulla, che gli risponde: “Ma anche lui va… e per di più l’hai portato tu”. Questo “lui” è Dominello, 40 anni, arrestato il 1° luglio assieme al padre Saverio per associazione mafiosa e tentato omicidio, fratello di due uomini arrestati per associazione mafiosa e poi condannati in primo e secondo grado. Dominello, ex appartenente ai “Drughi”, è tra i fondatori del gruppo di ultras “Gobbi”, che tra il 2013 e il 2014 ha trovato posto nella curva Scirea dello Juventus Stadium, e ha preso in mano la gestione della rivendita di biglietti dopo essere stato introdotto ai manager bianconeri da Germani, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Il 40enne lo aveva poi superato ed era riuscito a instaurare un contatto diretto con alcuni dirigenti a cui poteva chiedere direttamente i tagliandi. “Di chi parlate alludendo al fatto che andava a parlare con Andrea Agnelli?”, chiedono i pm a Germani. “Alludo al fatto che Rocco Dominello andava a parlare con Andrea Agnelli perché lo portava D’Angelo”.
D’Angelo di nome fa Alessandro ed è il security manager della squadra, uomo di fiducia del presidente che conosce sin da quando era bambino: è il figlio dell’autista di Umberto Agnelli. Sentito come persona informata sui fatti per cinque volte nel corso di questa indagine, il 25 luglio D’Angelo nega di aver introdotto Dominello al presidente: “Non è assolutamente vero – dice -. Forse in un’occasione a Natale loro chiesero di poterlo salutare. Intendo dire Rocco e Germani. Io non mi sarei mai permesso di portare Rocco dal presidente”. E perché, chiedono i magistrati? “Perché non mi sarei mai permesso di portare un tifoso dal presidente Agnelli. Germani sta millantando, come ha sempre fatto”. Diversa la versione fornita ai pm da Rocco Dominello, che nega fortemente di essere un ndranghetista. “Frequentai la sede della Juve a partire se non sbaglio dal 2012”, racconta. È indeciso: “Ricordo portai con Fabio Germani e D’Angelo un cesto di Natale ad Andrea Agnelli. Un’altra volta D’Angelo mi portò da Agnelli in piazza Cln, forse era la prima volta che lo vedevo. Ci davamo del tu anche perché siamo coetanei”, sostiene. Durante quell’incontro il presidente gli avrebbe parlato della sua nuova strategia per le curve: non più biglietti, ma abbonamenti, “su un foglio faceva degli schemi”. Su una cosa è chiaro:”Il progetto era la vendita, la Juve non regala nulla”. Il caso Juventus interessa anche la commissione parlamentare Antimafia, che martedì prossimo ascolterà i magistrati torinesi che conducono l’inchiesta.
(Il Fatto Quotidiano – C. Tecce/A. Giambatolomei)
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