AS ROMA NEWS DYBALA – (Ri)Scoprirne il genio per il gol all’Empoli fa sorridere. Paulo Dybala è sempre stato questo. Gioia per gli occhi, Joya per compagni e tecnici. Serviva soltanto rimetterlo in sesto, togliergli dalla testa la paura di farsi male e regalargli la voglia di tornare a sentirsi importante. Che sia riuscito nell’impresa un tipo come Mourinho non deve stupire. José è sempre stato un maestro in questo. Basta leggere quello che dicono di lui i vari Eto’o, Sneijder, Milito, Lampard, Stankovic, Zanetti, Benzema, Deco o Terry. Ci fermiamo qui, perché la lista non finisce più.
Come riferisce Il Messaggero, il feeling tra i due è scattato subito, dal primo abbraccio ad Albufeira. Paulo arrivava da una giornata interminabile: volo aereo da Torino in Portogallo e poi visite mediche che non volevano sapere di finire. Dopo 5 ore, altri 45 minuti per spostarsi da Faro all’hotel giallorosso a due passi dall’oceano Atlantico. Sceso dal Van, il primo ad andargli incontro è stato José. Un benvenuto caloroso, quasi incredulo, tra due Special che hanno impiegato poco a piacersi. Il feeling è stato automatico: parlano la stessa lingua, quella dei fenomeni.
Mou lo è sempre stato, Dybala ha impiegato poco per tornare ad esserlo. Gli serviva soltanto stare bene, non un dettaglio secondario. In tal senso c’è un dato, in questo avvio di stagione, che è a dir poco sorprendente. Il riferimento non è alle tre reti (più i due assist) in 6 partite di campionato. Meglio fece infatti nel 2017 quando in bianconero siglò 10 gol nei primi sei turni con tanto di triplette a Genoa e Sassuolo. A Roma invece gli è bastato un mese e mezzo per eguagliare un altro record, quello delle presenze. Era da 7 anni, terza stagione al Palermo (2014-15), che Paulo non giocava 7 gare di fila dall’inizio.
All’epoca furono di campionato, stavolta di mezzo c’è l’Europa League ma la sostanza non cambia. Ottantanove, 72, 78, 65, 90, 96 e 81 minuti per un totale di 571 nelle prime sette uscite stagionali (media 81,5 minuti che scendono a 79,1 considerando soltanto il campionato). Una continuità d’impiego che ancora non va di pari passo con quella nelle giocate, anche se è evidente che gli basta un nulla per cambiare l’inerzia della partita. Paulo è nell’élite dei calciatori che possono da soli risolvere una partita. Empoli è soltanto l’ennesima conferma. Due giocate, tre con il palo colpito nel primo tempo, ma decisive. Nella nostra serie A, depredata della qualità, è una mosca bianca.
Anche perché Mou ha deciso di lasciarlo libero di trovarsi una posizione in campo. Senza ingabbiarlo come era capitato nell’ultimo periodo di Juventus tra il diventare partner a servizio di Ronaldo, attaccante esterno nel 4-3-3 e/o centravanti nelle poche occasioni in cui il portoghese (e Higuain prima) rifiatava. Oggi non è più così. Lo trovi ovunque: parte a destra, si accentra, affianca Abraham, retrocede, scambia con Pellegrini (pronto a sacrificarsi per lui), suggerisce per Tammy, va in appoggio ai due mediani. E, udite udite, a Empoli spesso e volentieri è anche andato in copertura sul trequartista avversario (Pjaca prima, Bajrami poi).
I numeri non dicono tutto, ma spesso aiutano a capire meglio e valutare l’incidenza di un calciatore nell’economia di una squadra. Paulo, ad esempio, viaggia ad una media di quasi 8 passaggi progressivi ricevuti (ossia quelli che spostano il pallone verso la rete) a partita, di cui 5 vanno puntualmente a segno; 5 sono anche i tocchi nell’area avversaria. Tenta poi una cinquantina di passaggi a match (49,6) con una percentuale di completamento che si assesta all’81,6% con 2 dribbling vincenti nell’ultimo quarto di campo. È quinto poi, per chilometri percorsi (9,6 di media a partita), primo per tiri effettuati (17 insieme a Abraham), per reti (3), per occasioni da gol (16) e per assist (2 come Pellegrini).
Tradotto: palla a Dybala e qualcosa esce sempre fuori. Una centralità tecnica, suggellata non solo dal campo ma dallo stesso Mou: “È la squadra che deve crescere con Paulo, perché chiedergli di più dal punto di vista individuale non è possibile. Tammy meno coinvolto? Perché c’è Dybala”.
Parole che negli equilibri silenti e spesso invisibili (all’esterno) di uno spogliatoio non passano mai inosservate. Per questo motivo ha sorpreso come l’altra sera José sia uscito allo scoperto parlando apertamente di “competitività interna da accettare” e abbia invitato in modo esplicito Abraham “ad abbassarsi in fase difensiva, anche se giocatori come lui mentalmente faticano a farlo”. Equilibri, appunto. Da trovare, preservare e custodire per una stagione che ancora è tutta da scoprire. Del resto una Joya del genere non capita di averla tutti gli anni in rosa.
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