ULTIME NOTIZIE AS ROMA ANCELOTTI MOURINHO – Carlo Ancelotti, allenatore del Real Madrid, ha rilasciato un’intervista a Il Messaggero commentando anche il campionato di Serie A e la Roma di Mourinho. Queste le sue dichiarazioni:
Ancelotti, leviamoci subito il dente: che cosa è successo a Getafe?
«Abbiamo perso per una serie di motivi: le positività al Covid, qualche acciacco, il ritorno in campo dopo dieci giorni di break».
Il ritorno al Real Madrid è stato finora una passeggiata di salute, nonostante la sconfitta in casa del 28 settembre con lo Sheriff Tiraspol.
«La squadra è solida. Abbiamo un bel mix di esperienza e gioventù. Abbiamo vinto dieci gare di fila e questo ci ha dato uno slancio importante, poi è arrivata Getafe. La liquido così: eravamo ancora in vacanza».
Il motto del Barcellona è «Mes que un club». Che cos’è il Real?
«È il club con la maiuscola. C’è il Real e poi c’è il resto. A livello personale, per quello che ha rappresentato nella mia storia, anche il Milan è il club».
Da giocatore, Ancelotti ha indossato la maglia della Roma per otto stagioni. Più volte nel passato si è detto e scritto: Carlo è destinato a guidare la Roma. Non è mai successo.
«Solo una volta c’è stata una mezza possibilità, un colloquio con Franco Baldini. Tanto tempo fa. Peccato, mi sarebbe piaciuto allenare Francesco Totti».
Oggi c’è José Mourinho.
«Grande personaggio, grande allenatore, uomo schietto. Mou mi piace. La Roma è in buone mani».
Italiano, Dionisi, Zanetti: una nuova generazione di allenatori ha dato una bella scossa alla serie A.
«I giovani sono bravi e, allungando lo sguardo oltre i confini della serie A, danno stimoli alla vecchia guardia: io, Mourinho, Sarri, Klopp. Dobbiamo aggiornarci per reggere la sfida dei nuovi».
La figura dell’allenatore è profondamente cambiata nell’ultimo decennio. A un tecnico ora si richiedono competenze tecnologiche, conoscenza delle lingue, gestione delle risorse umane.
«Nel 1995, quando iniziai questa carriera, le rose erano composte da sedici-diciotto calciatori e lo staff era di un paio di assistenti. Oggi hai ventisei giocatori a disposizione e gruppi di lavoro di dieci persone. La gestione degli uomini è la parte più delicata. Le statistiche e la tecnologia non rappresentano un problema, anzi. Analizzare gli allenamenti di squadre di paesi lontani è interessante. Contribuisce all’evoluzione del calcio. Fino a pochi anni fa la costruzione dal basso era impensabile. Adesso si gioca davvero in undici, anche se a mio avviso, quando il portiere tocca il pallone più volte di un centrocampista, qualcosa non quadra».
Guardiola è il migliore in assoluto?
«Pep è uno dei più bravi. Non è facile stilare graduatorie precise nel nostro mestiere. La grandezza di un allenatore si misura quasi sempre con i successi, ma non è l’unico parametro. Bisogna considerare anche le idee, le innovazioni, il materiale a disposizione, le strutture dei club. Guardiola lascerà sicuramente un segno profondo nella storia del calcio».
A Liverpool si era creato un bel rapporto con Jurgen Klopp.
«Klopp mi piace perché è uno come Mourinho: schietto e intelligente. In questi due anni della pandemia Jurgen ha lanciato diversi messaggi positivi».
Stiamo entrando nel terzo anno di Covid.
«La pandemia non è ancora finita, ma i vaccini e i nuovi farmaci all’orizzonte ci aiuteranno a vincere questa guerra».
Il suo messaggio ai No vax?
«Bisogna fidarsi della scienza e di chi ha più competenze di noi, ovvero delle persone che hanno studiato e hanno un bagaglio professionale importante».
Che cosa può lasciarci di buono questo virus?
«La riscoperta dei rapporti umani. Di fronte alla sofferenza, alla paura e alle immagini delle bare trasportate sui camion militari, non puoi sottrarti a riflettere sul nostro sistema di valori».
Proviamo a pensare positivo: Italia al mondiale.
«Speriamo. Ritrovarsi fuori per due volte di fila sarebbe un brutto contraccolpo dopo il successo dell’europeo».
I tre momenti del 2021 dello sport italiano?
«Gli ori di Jacobs e Tamberi a Tokyo. Il trionfo di Wembley: me lo sono goduto in Inghilterra, soddisfazione doppia. Il ritorno del pubblico negli stadi».
Ancelotti, la molla per stare ancora in prima linea nel calcio dopo cinquant’anni in questo ambiente?
«La passione».
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