Eusebio Di Francesco

(Gazzetta dello Sport – C. Zucchelli) Dall’Argentina di Perotti al mare di Dubai di Dzeko, passando per il freddo di Milano, dove sta El Shaarawy, il clima più o meno mite di Trigoria, dove si allena Defrel, arrivando fino alla Turchia di Under e alla Repubblica Ceca di Schick. L’attacco della Roma, almeno in questa sosta atipica di gennaio, fa il giro del mondo e abbraccia tre continenti, ma di mondiale, ultimamente, ha ben poco. E chissà se le scelte di Monchi, che cerca esterni bassi a destra per riportare Florenzi alto, sempre a destra, non regalino un po’ di vivacità e imprevedibilità ad un reparto che doveva essere il fiore all’occhiello di Di Francesco e invece, per ora, è la zavorra che ne sta frenando le ambizioni.

NUMERI FLOP – La Roma ha l’ottavo attacco della Serie A con 30 reti in 19 partite perché meglio di lei hanno fatto Napoli, Juventus, Inter, Lazio, Sampdoria, Atalanta e persino l’Udinese, che ha cambiato allenatore e, nell’era americana, soltanto con Luis Enrique aveva fatto peggio, fermandosi a questo punto a 29 reti. Il precedente non è certo incoraggiante, l’errore sarà stato anche «magnifico» come disse Baldini, ma lo spagnolo scappò da Trigoria logorato nel fisico e nell’anima. La magnifica, quella sì, stagione di Dzeko lo scorso anno aveva portato il bosniaco ad essere in doppia cifra dopo 19 turni, con 13 reti, e, sempre dall’anno 2011-2012, solo una volta, con la coppia Osvaldo-Lamela nel periodo di Zeman, a una punta della Roma era riuscita la stessa cosa.

CERCASI EDIN – Adesso l’eccezione è tornata a confermare la regola: Dzeko è a quota 9, El Shaarawy a 4 e Perotti a 3, nessuno ha raggiunto o superato quota 10 in campionato, anche se il bosniaco ci è vicino e la Roma spera che sfondi il muro già la settimana prossima a San Siro contro l’Inter. Di Francesco ha bisogno dei suoi gol, non solo dell’apporto al gioco, che pure non manca mai, perché da quando si è fermato lui si è fermata la Roma. E non può essere un caso, anche se forse Dzeko, quando aveva parlato di «solitudine» dopo l’Atletico Madrid, aveva già capito che l’aria in questa stagione sarebbe cambiata.

SALAH E SCHICK – D’altronde, la mancanza di uno come Salah è diventato un macigno enorme su Trigoria. Nessuno se lo aspettava in proporzioni così grandi, forse anche perché in pochi si aspettavano che il neo Pallone d’oro africano andasse al Liverpool a fare 23 gol in 29 partite. Good bye Momo, però, ora la Roma è costretta a guardare avanti e oltre l’orizzonte vede (più per necessità che per scelta, perché Monchi e Di Francesco gli darebbero ancora tempo per crescere), la sagoma di Schick. Questi giorni trascorsi in famiglia magari gli serviranno per tornare lunedì ad allenarsi con una convinzione diversa: il cuore sta bene ed è la notizia migliore per lui. Fisicamente è in perfette condizioni ma l’altro cuore, quello delle emozioni, fatica invece ancora un po’, perché finora di lui si ricordano solo i lunghi stop, il gol inutile al Torino in Coppa Italia e l’errore davanti a Szczesny.

RICORDI – A Milano, salvo sorprese, non partirà dal primo minuto, di fronte avrà la squadra che, dopo il no della Juve, più di tutte lo ha conteso alla Roma, e in tribuna ci sarà quel Sabatini che provò senza successo a portarlo a Trigoria. Per arrivarci è dovuto passare da Genova, dove un anno fa, di questi tempi, aveva già segnato 6 volte, tra campionato e coppa. Adesso è a quota uno, Defrel e Under a zero. Una magra consolazione, un po’ come le vacanze di questa settimana.



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