(Gazzetta dello Sport – C. Zucchelli) Dici Champions e dici Cristiano Ronaldo, che praticamente ogni volta che scende in campo segna. Da anni. Ma, in questa stagione, dici Champions e dici pure Ben Yedder, che ha ammutolito Mourinho e l’Old Trafford. Dici Champions e dici l’amico Salah, l’uomo che sta facendo impazzire la Premier, oppure dici sua maestà Leo Messi, l’altro argentino dai piedi d’oro Dybala oppure Lewandowski, che in un modo o nell’altro la butta sempre dentro. Dici Champions, quindi, e dici grandi squadre e grandi attaccanti, ma quest’anno dici Champions e dici anche una difesa, quella della Roma, quasi perfetta. Imbattibile no, ma di ferro sì. I tifosi faranno pure gli scongiuri, ma i sette gol incassati in casa dal Bayern tre anni e mezzo fa sono un lontano ricordo. Lontanissimo, se è vero che all’Olimpico, in Coppa dei Campioni, la squadra di Di Francesco non ha incassato neppure una rete.
SUPER ALISSON – Merito del portiere brasiliano, tutto casa (e barbecue, ieri si è rilassato proprio così, usando la brace che ha a casa) e allenamenti.In pratica una certezza come a Trigoria, compreso Szczesny a dire il vero che pure aveva fatto benissimo nel recentissimo passato, non si vedeva da anni. Contro l’Atletico ha tenuto a galla da solo la squadra, martedì sera, invece, contro lo Shakhtar si è fatto notare soltanto per l’abbraccio con De Rossi in occasione del gol di Dzeko, che è rimbalzato suisocial per tutta la giornata. Poi, poco altro, giusto qualche inquadratura qua e là, senza sporcare i guantoni, visto che la Roma non ha subito tiri nello specchio in un match di Champions per la prima volta da quando esiste il girone unico, stagione 2004-2005. Non solo: perla prima volta nella moderna coppa la Roma ha chiuso quattro gare casalinghe consecutive senza subire gol e questo autorizza i sogni di gloria almeno fino a domani, quando si conoscerà l’avversario dei quarti.
NIENTE PAURA – Quasi tutti vorrebbero il Siviglia di Montella, reduce dall’impresa di Manchester ma considerato alla pari della Roma,se non inferiore. E Monchi non se la prende per questo, anche se spera che il suo derby del cuore venga rimandato il più possibile. Qualcuno spera nella Juventus perché «almeno la conosciamo», qualcun altro invece vorrebbe il Liverpool «per prenderci una rivincita». Tra chi dice di aver già prenotato «il transit per Kiev», dove ci sarà la finale (più di 2.300 chilometri in macchina, un giorno intero di viaggio attraversando l’Europa) e chi invece si accontenta («la nostra Champions l’abbiamo già vinta»), un pensiero unanime mette d’accordo tutti i romanisti, quelli che sono andati a letto felici al 90’ e quelli che invece non hanno dormito per rivedere la partita: «Non dobbiamo avere paura».
IL MURO – Sarà che dal 2014, in casa, in Europa la Roma aveva incassato 23 reti, sarà che tutta la fase difensiva sembra più compatta (in campionato è la quarta difesa), sarà che Manolas e Fazio sono ormai una coppia rodata, Kolarov, pur stanco, è una sicurezza e Florenzi, soprattutto fisicamente, sta tornando quello dei tempi d’oro, ma i tifosi pensano che con un muro così davanti ad Alisson, impreziosito dai recuperi di De Rossi, ogni sfida adesso sia possibile. Almeno per altre 24 ore, diceva ieri un ascoltatore intervenendo in un’emittente, «lasciateme sogna’, voglio vede’ Peres che alza la Coppa». E allora che sogno sia, fino all’urna di Nyon quantomeno. Poi arriveranno avversariedate, che si incastreranno in due settimane di fuoco: Bologna in trasferta, andata dei quarti, Fiorentina in casa, ritorno dei quarti, e derby. Tutto d’un fiato. Perché in fondo, almeno per un altro mese, dici Champions e, stavolta, dici anche Roma.
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