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Rassegna stampa

Baldini, un dirigente dalle luci all’ombra

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NOTIZIE AS ROMA BALDINI – Appare e scompare, mimetizzandosi, come il più abile dei camaleonti. Baldini è di nuovo in sella. Probabilmente non era mai sceso ma ora – con Petrachi sospeso (si va verso un contenzioso legale con il club) – è lui a fare il mercato della Roma.

Fienga supervisiona, De Sanctis si occuperà delle operazioni minori, il resto sarà nelle sue mani. Pedro, Mkhitaryan, il riscatto di Smalling o la nuova virata su Vertonghen, alla luce dei 25 milioni richiesti dal Manchester United per l’inglese: tutto gira attorno a Franco. Ruolo che il diretto interessato rigetta riducendolo a mera leggenda. Lui è la scusa di chi ha bisogno di un alibi, il capro espiatorio di chiunque fallisca. Inizia come consulente di mercato, poi si trasforma in ds vincente.

Una volta è un semplice produttore di caffè, un’altra al fianco di Capello con la nazionale inglese dopo averci fatto pace. Poi torna ds, il tempo di chiedersi chi glielo ha fatto fare, accarezzare l’idea della rivoluzione e salutare nuovamente. Va a Marsiglia, in seguito si trasferisce a Londra per riapparire di colpo come consigliere del presidente, tanto da coprire un ruolo nel comitato esecutivo della Roma. Non è però il club a pagarlo bensì Pallotta, quindi l’As Roma SPV LLC. Non conta nulla, fa tutto lui, fa parte di «uno dei centri di potere», è «Testa grigia» (cit.), sceglie gli allenatori perché «incontaminati, estranei al calcio italiano».

Anzi no, non li sceglie, li suggerisce. Meglio se amanti della lettura. E quindi va a cena con Villas Boas, duellando a colpi di citazioni shakespeariane, poi opta per Luis Enrique con il quale ammette di essersi confrontato sull’opera Il cammino di Santiago’ di Paulo Coelho: «Non è tra i miei scrittori preferiti, ma io senza leggere non so stare». Quando legge invece l’autobiografia di Totti inorridisce, si offende e saluta di nuovo. In totale fanno tre addii (2005, 2014 e 2018). Non ama aspettare ma nell’era Usa si presenta con 5 mesi di ritardo.

Gli offrono un milione, lui declina: «È troppo per ora merito 600mila euro». Promette di voler portare «questa Roma a un punto in cui vincere sarà una costante». Sei anni prima era stato capace di sedere sul divano di Serena Dandini in tv e parlare di sistema, doping, scegliendo Moggi come nemico e arruolando virtualmente un popolo pronto a scendere in piazza al primo cenno. Ora, dopo 15 anni, lo stesso popolo lo fa apparire al massimo in qualche striscione di protesta. Negli anni ha imparato ad amare le distanze. A tal punto che manca da Roma dal 2017.

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L’ultima volta, per fuggire dalla morsa dei giornalisti, è uscito da un’uscita secondaria di un ristorante coprendosi il volto con un tovagliolo. Meglio la sua Toscana. Firenze, Siena, l’importante è che sia lontano da Roma e dalla Roma, che per tornare a vincere va deromanizzata. Nel frattempo hanno lasciato Totti e De Rossi. L’ultimo trofeo però risale al 2008, con Totti e De Rossi. «Nei momenti di difficoltà Pallotta si affida sempre a Baldini», ha raccontato 10 mesi fa Gandini. Uno dei tanti ad che sono passati. Franco no, lui rimane. Dal 1997.

(Il Messaggero)

FOTO: Credits by Shutterstock.com

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