AS ROMA NEWS LEICESTER BIANCHI – Ottavio Bianchi, ex allenatore della Roma, l’ultimo ad aver conquistato una finale europea nel 1991 poi persa contro l’Inter, ha rilasciato un’intervista a Il Messaggero per parlare della sfida contro il Leicester. Queste le sue dichiarazioni:
Ottavio Bianchi, lei allenava l’ultima Roma che superò una semifinale, arrivando alla finale Uefa del 1991. Ora il club spera di ripetere quell’impresa. Per lei è possibile?
«Il risultato dell’andata lascia spazio alla speranza, poi bisognerà vedere la partita. Ma mi pare che la Roma negli ultimi tempi abbia cambiato passo, è in crescita di fiducia e di gioco. Poi ci sarà una grande cornice di pubblico: ho visto che anche nei periodi meno felici la Roma ha sempre avuto un sacco di tifosi vicino, ed è una cosa bellissima».
Saranno in 70mila, anche se siamo in una coppa minore, per così dire.
«Se andranno all’Olimpico in così tanti, vuol dire che per la gente è una partita fondamentale. E se lo è per loro vuole dire che è importantissima, anche se la Conference è un po’ la ruota di scorta rispetto alle altre coppe. Ma non vuol dire. Il nostro è uno sport che si pratica per il pubblico, per dare gioia alle persone, e quello conta sopra ogni cosa. Inoltre, vincere la Conference sarebbe fondamentale perché vincere abitua a vincere. Senza contare che la vittoria in una coppa dà valore a tutto il tuo lavoro, e per Mourinho sarebbe un’ottima cosa».
Lei cosa ricorda della semifinale col Broendby, decisa da un gol di Voeller?
«Sa che io ricordo poco le vittorie, e molto di più le sconfitte? Se mi chiede di quella Coppa Uefa, ho bene in mente la finale persa con l’Inter, non lo meritavamo, senza contare che furono partite molto chiacchierate… Della semifinale, ricordo la grande passione di Roma, che anche quella sera riempì lo stadio. In quella stagione perdemmo il nostro presidente Viola a gennaio, ma centrammo lo stesso la finale Uefa e quella di Coppa Italia. La gente era straordinaria. E a differenza di adesso, non c’era un grande comunicatore a trascinarla: io non ero proprio portato…»
Era un po’ orso, diciamo.
«Ah ah, sì. Non ho mai avuto un feeling con il pubblico. Non ero proprio capace di entrare in contatto empatico, anzi ero negato. Se allenassi ora, in un’epoca in cui tutto è mediatico, sarei in enorme difficoltà. Al punto che quando arrivai, l’ingegner Viola mi disse: Bianchi, non si preoccupi: ci penso io. Era il nostro riferimento per tutto. Si occupava anche della disposizione dei fiori, per dire. Un uomo meraviglioso».
Dei suoi ragazzi dell’epoca, chi ricorda su tutti?
«Rudi Voeller, che col Broendby ci portò in finale: oltre che un giocatore fantastico, aveva personalità e carisma, ed era un bravo ragazzo e un professionista perfetto, infatti è ottimo anche come dirigente. Poi, si parla sempre troppo poco di Aldair: un fuoriclasse sottovalutato, magari perché era modesto e timido. Ma fu anche capitano del Brasile, e vinse un Mondiale. Andai insieme a Ciccio Mascetti a vedere un Porto-Benfica, volevamo prendere Mozer ma poi vedemmo Pluto… e consigliai a Viola di prenderlo, subito».
Di Mourinho che opinione ha?
«La prima regola che mi hanno insegnato i vecchi maestri: mai dare giudizi troppo trancianti sui colleghi, anche se io non faccio più l’allenatore. Ma credo proprio sia l’uomo giusto per la Roma: ha affascinato tutti, è un grande personaggio, ha qualità indiscutibili. Per Roma è perfetto. Ho visto che ha capito subito quanto sia importante anche la rivalità cittadina. Quella era un’altra cosa che non avevo compreso subito, e me la fecero notare quando arrivai a Roma. Mourinho ha presa in mano subito tutta la situazione. Io, proprio non ero così bravo in queste cose. E in bocca al lupo a tutti per stasera: la città ha bisogno di tornare a vincere qualcosa, e il primo passo è sempre il più importante».
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