Oggi è l’ultimo giorno di Tiago Pinto alla Roma. Aveva ottenuto un incarico più grande di lui, quello di direttore sportivo di un club ambizioso, affamato di successo e internazionalità, scrive Ivan Zazzaroni sul Corriere dello Sport.
Pinto è un eccellente direttore organizzativo: sede, viaggi, logistica, strutture. Dovendo soprattutto trattare acquisti e cessioni, la composizione della squadra, con tutti i difetti dell’inesperienza si è ritrovato ad affrontare anche ostacoli supplementari, quali il settlement agreement e le numerose riserve di Dan Friedkin, impegnato nel mettere milioni in cassa per aggiustare i conti.
Per eccesso di aziendalismo e correttezza, Mou ha così subìto le partenze di Dzeko (solo in parte colpa di Pinto: Edin aveva un accordo con la società), Mkhitaryan (sarebbe rimasto volentieri con un biennale), e ha accettato con notevoli sofferenze, concedendosi comunque qualche scazzo, i vari Shomurodov, Viña, Maitland-Niles, Camara, Solbakken, Celik, Kristensen, N’Dicka, Aouar, Llorente, Reynolds (complici gli americani) e Renato “Ossessione” Sanches.
Pinto – ho le prove – era stato a lungo contrario all’arrivo di Dybala, in seguito sedotto da Mourinho e convinto da Fabrizio De Vecchi, mentre per Lukaku si è reso necessario l’intervento diretto di Dan Friedkin sul manager iraniano Behdad Eghbali, socio al Chelsea di Todd Boehly.
Quello che rimprovero maggiormente a Pinto è il mancato apprezzamento pubblico nei confronti di Mou, grazie al quale ha potuto inserire nel curriculum due finali europee, una vinta e l’altra rubata. E, prima di ogni altra cosa, di non aver protetto l’allenatore con la proprietà, portandolo addirittura a partire l’estate scorsa in scadenza di contratto. Errore da condividere con Mourinho stesso che non avrebbe dovuto accettare una condizione simile.
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