totti spalletti

Ha spesso detto che «allenare non fa per me. Sono troppo buono. Ci vuole polso, bisogna scegliere la formazione, mandare alcuni tuoi giocatori in tribuna. Preferisco evitare, mi farebbe stare troppo male». Francesco Totti ha sempre ragionato da calciatore. E c’è da scommettere che lo farà anche quando inizierà la carriera dirigenziale. Allenare non lo attira, alcuni allenatori ancora meno. Presente e passato s’intrecciano raccontando 25 anni di tira e molla, sorrisi e reprimende (private e pubbliche). Un’altalena di sentimenti e stati d’animo che non sempre hanno visto il campione giallorosso trovarsi a suo agio con chi sedeva in panchina. Perché paradossalmente le esperienze con Mazzone («Per me è stato come un figlio»), Zeman («È il più forte di tutti») e Lippi («È immortale») nella sua carriera sono state delle eccezioni.

«RITMI ROMANI» Il più delle volte, i rapporti tra Totti e gli allenatori hanno vissuto di alti (pochi) e bassi (numerosi). La cosa singolare è che poi, a posteriori, tutti parlano bene di Francesco. Persino Carlos Bianchi che, ospite a Trigoria nel novembre del 2011, è riuscito a negare le difficoltà (eufemismo, ndc) col capitano, allora ventenne: «Io soltanto conosco la verità su questa storia, intendevo spronarlo. Per come lo ricordo è un buon giocatore, uno dei più forti che ho allenato. Con lui metto Riquelme e qualcun altro». Peccato che all’epoca volesse cederlo alla Sampdoria per portare a Roma tal Pandolfi. Anche con Ranieri la convivenza non è semplice. Dietro tante frasi fatte del tecnico («Non esiste Roma senza Totti», «Totti è al centro del mio progetto», «Totti è il migliore di tutti»), covano problemi di gestione. La spia è il derby che poi decreterà il trionfo del tecnico. Sotto 1-0 all’intervallo, lascia Totti e De Rossi negli spogliatoi. La doppietta di Vucinic gli darà ragione. L’apice invece sono i 4 minuti che l’8 gennaio del 2011 concede a Totti con la Sampdoria. E questo dopo che a San Siro, contro il Milan, gli aveva preferito un Adriano ancora abbondantemente sovrappeso. Tempo per ricucire lo strappo non c’è: il 20 febbraio dopo la sconfitta per 4-3 col Genoa (la Roma era avanti 3-0, ndc), Ranieri rassegna le dimissioni. Anche con Luis Enrique si parte col piede sbagliato. Dopo una settimana a Trigoria, Lucho sale nell’ufficio di Sabatini lamentandosi che con Totti in campo non riesce ad imprimere agli allenamenti la velocità e l’intensità che vorrebbe. Poi arriva la famosa sostituzione con Okaka nel ritorno del preliminare di Europa League con lo Slovan. Le cose migliorano leggermente col tempo senza mai sbocciare in un grande feeling tra i due. Con Garcia le cose vanno meglio, diverso invece il discorso con Capello. Adesso ci sono soltanto elogi da parte del tecnico friulano («Totti è un fuoriclasse, illumina la Roma da 23 anni, fa cose che altri non immaginano nemmeno»). All’epoca del terzo scudetto, si lamentava invece dei «ritmi romani» del calciatore, sfociati nella famosa vigilia della trasferta di Napoli dove l’allenatore ha sempre fatto allusioni di una notte brava della squadra, con il capitano capofila. All’epoca Totti replicò in modo veemente: «Credo che il mister avrebbe potuto rendere pubblico quell’episodio del tutto ipotetico di Napoli alla festa dello scudetto che celebrammo al Circo Massimo, dove non c’erano quindicimila persone ma un milione e mezzo. Lui però non c’era, purtroppo era già in vacanza. Potrei raccontare molti episodi dove da parte sua non c’è stato rispetto né per la squadra né per la società ma sono un ragazzo educato».

SU E GIÙ Capitolo a parte merita il rapporto con Spalletti. «E il tacco, la punta, il titolo, il gol… Gli equilibri! Sono cinque anni che dico gli equilibri! Perché poi, si prende gol…», è lo sfogo del tecnico il 31 agosto del 2009, giorno del suo addio. Rapporto idilliaco all’inizio con Lucio che una sera porta tutti dal ritiro a casa di Totti infortunato. Poi alti e bassi, evidenziati da una polemica via microfono quando il tecnico è già lontano: «Complimenti», dice Totti all’indomani della vittoria nel campionato ucraino. «Poteva farmeli quando stavo andando via dalla Roma», replica secco il tecnico. Il resto è storia più o meno recente. L’allontanamento nella passata stagione dal ritiro alla vigilia della gara col Palermo, la querelle sul rinnovo, la richiesta di rispetto avanzata dal capitano, le frecciate dell’allenatore (tra tutte, quella alla vigilia del derby: «Anch’io voterei per Francesco in campo ma si potrebbe proporre anche un sondaggio diverso, far commentare l’Europeo a Pizzul o Caressa?». Totti quindi come un telecronista pensionato, metafora chiarissima). Dieci giorni fa invece il ribaltone: «Se Totti smette me ne vado». Un film già visto.

(Il Messaggero – S. Carina)



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