AS ROMA NEWS BRIGHTON MALDERA DE ZERBI – Andrea è figlio di Luigi Maldera, detto Gino, storico difensore del Milan che trionfò in Coppa dei Campioni e nell’Intercontinentale alla fine degli anni 60; nipote, dunque, di Aldo, pure per lui una carriera brillante al Milan, nonché campione d’Italia con la Roma di Nils Liedholm nel 1983. Andrea, milanista nell’anima, con un pezzo di cuore giallorosso, proprio nel ricordo di quei romani anni 80. «Conservo la maglia numero 5 di Falcao, me la regalò zio Aldo», ricorda Andrea, che oggi è al Brighton come vice di Roberto De Zerbi, quel «genio» raccontato da Daniele De Rossi. Lo ha intervistato Il Messaggero. Queste le sue dichiarazioni:
Maldera è un nome importante non solo a Milano?
«Lo zio Aldo ha vissuto Roma e la Roma con enorme passione. Liedholm lo aveva portato in giallorosso, in un periodo difficile per il Milan. A Roma ha ritrovato il sorriso e ha coinvolto tutta la famiglia».
Qui si è divertito.
«Peccato per la finale saltata con il Liverpool. Per un’ammonizione stupida in semifinale, poi: una rimessa laterale ritardata. E’ stato il suo grande rimpianto. Peccato se ne sia andato molto presto. Mio papà, legatissimo al fratello Aldo, soffrì molto la sua scomparsa e qualche anno dopo se n’è andato anche lui».
Aldo era un terzino moderno.
«Era un Roma meravigliosa, tutta. Ricordo a memoria la formazione. Tancredi, Nela…».
Persona elegante, lo zio.
«Silenzioso, discreto. Gli volevano tutti bene, ricordo il suo rapporto meraviglioso con Agostino e con Falcao, Conti. Era una squadra magica. Non a caso per quei ragazzi fu scritta la canzone “Grazie Roma”».
Con lei, oggi Maldera è ancora nel calcio.
«Ho lavorato al Milan con Leonardo, Allegri e Inzaghi e poi con Shevchenko alla Nazionale ucraina».
E poi è arrivato De Zerbi.
«Roberto nasce nel Milan, aveva mio padre come allenatore, siamo da sempre legati, condividiamo tante idee. Dopo lo Shakhtar, mi ha voluto con sé».
E ora deve tornare all’Olimpico.
«Stadio a cui sono legato. Ci ho vinto lo scudetto con il Milan di Allegri e tre anni fa ho giocato uno storico quarto di un Europeo, tra Ucraina e Inghilterra».
De Rossi ha definito De Zerbi un genio. Esagerato?
«Ha ragione Daniele: Roberto ha dato qualcosa di diverso al calcio».
Esattamente cosa?
«Cerca di proporre un gioco di dominio, cosa che sta facendo anche De Rossi, così come Motta e altri. Guardiola è il capostipite di questo genere. La genialità di Roberto è nel portare avanti certi concetti, andando contro i luoghi comuni, un po’ stantii. Dà valore al possesso palla, all’ordine, all’applicazione, alla comunicazione col gruppo».
Cose normali per un allenatore.
«Ricondurre De Zerbi a un modulo o a una questione tattica è riduttivo. Lui non mette mai se stesso davanti ai calciatori. Ha il coraggio di pensare che si possa giocare bene al di là degli interpreti. Non è un profeta, crede solo nelle proprie idee».
Passa per presuntuoso?
«Ma non è così. Prima vengono le caratteristiche dei singoli e poi le sue idee. Ad esempio, noi abbiamo cambiato molti elementi rispetto alla passata stagione e lui ha capito che dovevamo modificare qualcosa: giocare con Mac Allister era un conto, non averlo un altro. La sua genialità è nel rapporto che instaura con il gruppo. Crea rapporti di discussione, di fiducia con i ragazzi. E’ la sua forza».
E tatticamente?
«Fin dagli inizi a Foggia ha sempre proposto squadre organizzate, coraggiose. Tutti gli allenatori hanno in comune una cosa: la vittoria. Cambiano solo i modi di arrivarci».
E De Rossi lo ha studiato.
«Vede la genialità di Roberto nella qualità prestativa delle squadre. Esprime se stesso nel suo modo di giocare».
Anche Allegri era geniale?
«Max era bravissimo a trovare un equilibrio, a gestire le pressioni. Dava alla squadra serenità».
Come si pone nella dicotomia tra risultatisti e giochisti? «Ha un po’ stancato, per me è sbagliata. Secondo lei, il giochista non vuole vincere? Liedholm giocava un calcio diverso da Trapattoni, ma nessuno se ne faceva un problema. Il tifoso vuole vincere, se si diverte è più felice. In Inghilterra è così, qui è l’università: il calcio deve portare gioia. Non so se qui si giochi il miglior calcio, ma ci sono le migliori partite, le più belle. E’ uno spot».
L’Italia è un po’ indietro?
«La nostra è una cultura che ha portato a grandi successi e va rispettata. Una scuola che dà tanto anche oggi, penso a Gasperini, alla sua difesa a uomo che ora fanno tutti; penso a Sarri, a Thiago Motta, allo stesso De Rossi, che ha dato un’impronta definita alla Roma. Si prova a inseguire uno stile più internazionale».
Cosa c’è di stantio?
«Oggi vedo tanta voglia di puntare sulle proprie squadre piuttosto che sull’avversario, non guardare solo la fase di non possesso. Il calciatore vuole giocare a pallone, divertirsi, non solo correre dietro all’avversario. Poi, non è detto che se giochi per difenderti non perdi».
Anche De Rossi è un genio?
«Ragazzo straordinario, umile, curioso. Sono stato colpito dalle sue domande, ha passione e voglia di imparare. È presto per dire se sia un genio, ma se il buongiorno si vede dal mattino… Di sicuro alla Roma non ha dato solo un impatto emotivo, in campo si vede la sua mano. Ha portato serenità, leggerezza. Gli auguro il massimo, magari da dopo le partite con noi».
La temete un po’ questa doppia sfida?
«Per Brighton, per la sua comunità, è già una gioia giocare un ottavo di finale contro la Roma. Il rimpianto è di non potercela vivere con la squadra al completo. Se perderemo, faremo gli applausi alla Roma. Ma resterà in ogni caso una gioia».
C’è un giocatore della Roma che le piace particolarmente?
«Intanto sarà un bello ritrovare due ragazzi che conosco bene, cresciuti con noi al Milan, e sono El Shaarawy e Cristante. Sono molto felice per la carriera che stanno facendo. Ma se penso a uno che sposta gli equilibri, penso a Dybala. Ha dentro di se la giocata e, in una partita di equilibrio, può essere letale. Gli allenatori fanno giocare bene le squadre, le partite le vincono i giocatori».
Che partita prevede?
«Brillante, figlia di due allenatori giovani e ambiziosi. Non siamo sconfitti in partenza, andremo avanti con le nostre certezze, con il gioco, il gruppo e speriamo di onorare una partita per noi storica. Io mi reputo un esteta, vengo dal Milan di Sacchi. Spero sia uno spettacolo».
Sacchi è stata la “rivoluzione”.
«Negli anni 90 è toccato a lui, oggi lo è Guardiola, prima ancora Liedholm. In futuro chissà».
Guardiola è un vostro maestro?
«Beh, sì. E’ uno che si aggiorna in continuazione, cambia, è sempre al passo. Poi, lui stesso è il primo a sostenere che i trofei si vincono con i grandi giocatori, con la loro qualità. Se una squadra pressa alto, costruire dal basso, lo sceglie l’allenatore. Questa è strategia, armonia; l’imprevedibilità è nei piedi di chi va in campo».
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