AS ROMA NEWS BRUNO CONTI – Il baseball, la guerra appena passata, il pallone, gli americani, la terra e il mare. È una storia che comincia a metà degli anni Cinquanta in un punto molto preciso che collega l’acqua salata ai sogni di riscatto. Il tutto attraverso lo sport e l’entusiasmo che allora si confondeva con la speranza, scrive La Repubblica.
A sessanta chilometri da Roma, Nettuno non è un paese (un grande paese) che spieghi così su due piedi. Anche se Bruno Conti ha provato a spiegarlo con un piede solo, il sinistro. La sua storia (“Bruno Conti – Un gioco da ragazzi“), con la prefazione botta e risposta tra Bruno e Francesco Totti, scritto con Giammarco Menga, è una fettuccia lunga, un biliardo pieno di palline o di pallone.
Bruno Conti si racconta. La storia del ragazzo che sarebbe diventato il protagonista del biennio ’82-’83 del calcio italiano, è la storia di un ragazzo che fu costretto a diventare mattonatore per aiutare la famiglia e a lasciare la scuola dopo la quinta elementare. La più splendida manifestazione di “ala” moderna in realtà era costretto a fare anche il “bombolaro“, ossia portava le bombole del gas nelle case perché a Nettuno non tutti avevano l’allaccio, anzi pochi.
Bruno Conti è stato un faro del nostro pallone. La rapidità del calciatore moderno, l’estro del campione d’altri tempi (“il mio calcio di una volta” si legge già nella copertina). Le sue peripezie vanno di pari passo con una lenta ascesa dell’indifferenza per il troppo calcio proposto. Quando giocava lui era ancora possibile sognare e soprattutto non vedere: piuttosto si ascoltava, il calcio. Cosa che lo rendeva magico. I momenti dell’estasi sono storia di tutti, ma forse un po’ di più sono storia del tifo romanista. Bruno chiude dicendo di sé: “Penso di essere stato un buon padre”. I suoi figli Daniele e Andrea concorderanno. E poi avverte i giovanissimi: “Ogni volta che pensate di non farcela, riflettete su quando un giovane Bruno veniva scartato ai provini perché basso e troppo gracilino”
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