(Il Messaggero – U. Trani) «È come una finale». Chi parla, se ne intende. Bruno Conti fu tra i protagonisti della notte dell’11 luglio 1982 al Bernabeu. E l’Italia, sabato sera, ha bisogno proprio di un’impresa come quella di 35 anni fa a Madrid. Lo stadio è lo stesso, ma cambia l’avversario. Se la Germania diventò l’ultimo ostacolo da superare per prendersi il terzo titolo mondiale, adesso c’è da battere la Spagna per andare direttamente in Russia. «Ecco perché la sfida contro la nazionale di Lopetegui vale tantissimo. Vincendo, hai la certezza di partecipare al prossimo mondiale».

Quali similitudini esistono tra le due sfide dell’Italia al Bernabeu, quella del trionfo e la prossima?
«Innanzitutto la scarsa considerazione che accompagna l’Italia in questo viaggio. La Nazionale di Bearzot arrivò in Spagna criticata e sminuita, come se dovesse tornare subito a casa. E, invece, eravamo più forti di quanto ci considerassero anche i nostri avversari. E anche l’attuale gruppo azzurro è migliore di quanto si possa pensare. Ne sono convinto e lo vedrete sabato. Ventura sta lavorando proprio bene».

Si fida, insomma, del ct?
«Vi racconto perché. Ho avuto la possibilità di vederlo lavorare, qualche anno fa, a Trigoria, quando ero direttore tecnico e Spalletti allenava la Roma per la prima volta. Gian Piero era senza squadra e Luciano, essendo suo amico, lo invitò per qualche giorno e gli chiese di lavorare con i ragazzi della primavera. Nelle esercitazioni mi resi conto che i suoi schemi offensivi erano moderni e soprattutto efficaci. Non mi sorprende che sia arrivato sulla panchina dell’Italia. È davvero preparato. E non ha paura».

C’è altro dell’Italia di oggi che le fa venire in mente la sua dell’82?
«Sì. Perché, come trentacinque anni fa, la Nazionale punta sul blocco Juve. Sono meno i titolari rispetto alla finale contro la Germania, allora addirittura sei, ma basta guardare la difesa, più o meno sono tutti bianconeri, con Ventura come con Bearzot. Accanto a loro adesso ci sono De Rossi, Candreva, Belotti e Insigne, prima eravamo Antognoni, Graziani, Oriali e io. Il percorso è simile, compresi anche i giovani. Io li conosco bene tutti, in particolare Pellegrini: è maturo e sono felice che partecipi a questa avventura».

Ha chiamato in causa i giocatori bianconeri e anche altri. C’è qualcuno tra gli azzurri che, però, può ricordarle proprio Bruno Conti?
«Insigne. Anche se lui segna di più. Come caratteristiche ci siamo. Fisicamente e tecnicamente. Anche a lui piace il dribbling, ma rimane altruista. Basta vedere la semplicità con cui prepara l’assist. Ha fantasia e velocità. E’un giocatore completo: anche per merito di Sarri, dà sempre una bella mano ai compagni anche in fase di non possesso palla. Non pensa, insomma, solo ad attaccare. Come facevo anch’io».

Conti padrone della fascia?
«Non mi sono mai risparmiato. Bearzot, proprio nella finale, mi chiese di stare a sinistra per controllare Kaltz che si sganciava. Quando per cinque minuti mi spostai dal lato di Briegel e lo misi in difficoltà, allora il ct mi lasciò a destra per andare ad attaccare l’ altro terzino. Fu una delle mosse decisive».

Torniamo a sabato: perché la Nazionale ci deve credere?
«Io sono ottimista perché conosco quello stadio. Ti trasmette qualcosa di grande. E quindi ti spinge a dare il massimo. Ci sono appena tornato, a giugno, per un incontro tra vecchie glorie. Ho subito pensato a quella notte di trentacinque anni fa. Quest’Italia è la sintesi tra un gruppo di giocatori esperti e qualche giovane interessante. Gli azzurri devono sentirsi forti entrando al Bernabeu. In testa devono avere il mondiale. La voglia può fare la differenza. La Nazionale può fare un altro passo verso il futuro. Io so bene che i nostri vivai sono all’altezza dei migliori d’Europa. Noi pensiamo sempre che gli avversari siano extraterrestri. Lo dovevano essere anche il Brasile e l’Argentina nel mondiale spagnolo. Loro sono stati presuntuosi, noi no. Le nostre finali sono state quelle… Poi, la terza».



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