Rassegna stampa
Buon compleanno Mourinho: in regalo una Roma più grande
ULTIME NOTIZIE AS ROMA MOURINHO – Buon compleanno col naso all’insù, ad ammirare questo incredibile cielo terso di gennaio sopra Roma bella, altro che Londra o Milano. E i piedi sul campo, a Trigoria, perché c’è allenamento. Molto di meglio non si può chiedere. I successi, i tituli, prima o poi torneranno, pensa José, ma intanto godiamoci questa luce, che è un privilegio per tre o quattro milioni di fortunati al mondo, scrive Il Messaggero.
Il primo compleanno a Roma non si scorda mai, Mourinho oggi dice 59, e un anno fa di questi tempi non l’avrebbe detto neppure lui: viveva a Belgravia, quartiere residenziale per straricchi all’ombra di Buckingham Palace, ma nemmeno ora è messo malaccio, ai Parioli in un palazzetto da principe rinascimentale, affacciato su Villa Borghese, al di qua del fiume e tra gli alberi, all’ombra di questi pini.
Lo vedono mangiare spesso in piazza Ungheria, o in giro con la sua famiglia, che fa la spola tra Londra e Roma. La prossima settimana compie 22 anni anche Zuca, il figlio, mentre la figlia Matilde disegna gioielli che il papà fieramente indossa e pubblicizza, come negli spogliatoi di Empoli. José adora Roma, non la gira in Vespa come fece a Trigoria ma con l’autista, a volte a piedi. Cattolico com’è, non si è negato visite a San Pietro, dove abita quel signore vestito di bianco, famoso quasi quanto lui.
Coi tifosi della Roma il legame è già saldo, basta andare allo stadio per capirlo. Le pressioni della piazza difficile non sa cosa siano, non è un lettore di editoriali, non ascolta l’emittenza privata ma l’idea che esista lo diverte, pure a Madrid era così, e se ne fregava anche lì: contano i giocatori e i presidenti che li comprano, non le chiacchiere delle piazze difficili, e lui lo sa da un pezzo.
La squadra comincia a piacergli, ma non sta andando come sperava. Ha faticato a indirizzarla, si è scontrato con la realtà di tante partite perse, già 10, e il suo massimo in carriera in un anno è stato 13. Guida una Roma da testa o croce, vincere o morire: ha pareggiato solo 3 partite su 32 (così poche il City di Guardiola, con ben altri esiti).
La sua desuetudine a guidare una squadra di scarsa personalità lo ha frenato in avvio, lui scuoteva e scopriva sguardi vacui, ha reagito con dispetto e magari ha pasticciato qua e là, tra moduli e scelte. Un allenatore di lignaggio inferiore avrebbe gestito con mano più morbida, ma fa tutto parte del pacchetto-José: si fosse scelto un Italiano o un De Zerbi, più adatti a squadrine da accompagnare, diverse sarebbero state anche le prospettive. Mourinho è andato allo scontro col club sul parco-giocatori, mentre ha capito che fare a testate con gli arbitri non gli conviene affatto.
Ha chiesto a gran voce rinforzi, come fa sempre anche Antonio Conte, come ogni tecnico di vaglia. Degli epurati di autunno, ha recuperato Kumbulla, l’unico reintegrabile, e perché le topiche mattocchie di Mancini e Ibañez, che un’enormità di gol sono costati, lo preoccupano sempre; gli altri, i Villar o i Mayoral, sono finiti in squadre minori: ovviamente nessuna grande d’Europa ha fatto a pugni per prenderli, e ben si sapeva.
Gli mancano giocatori di riferimento a cui affidare la squadra, sperava lo fosse Pellegrini ma è colpito dalla sua fragilità, allora ecco Sergio Oliveira, per dare solidità ed esperienza, cose vitali. Il resto arriverà, tra gennaio e l’estate. Il quarto posto, volendo, è ancora possibile, se la Roma crescesse tanto, e la struttura ora sembra averla, José ha lavorato sodo. Ma chissà. L’uomo ora sembra placido, sa che a Roma le cose possono rallentare, se si vuole. Un giorno tornerà a Madrid, dove Florentino lo aspetta sempre. Ma non ora. Con questa luce nel cielo, tante prospettive possono cambiare.
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