Il vero problema di Virginia Raggi è che, dopo aver chiesto e ottenuto i voti dei romani per fare la guerra ai signori del cemento, si è trovata nella linea del fuoco di una guerra ben più violenta: quella “tra” i signori del cemento. Se il nuovo stadio della Roma (che poi della Roma non è e non sarà, ma questa è un’altra storia) si presenta come un bell’affare per l’immobiliarista Luca Parnasi, pronto a circondare l’impianto sportivo con fantastiliardi di metri cubi commerciali, direzionali e residenziali, è bene sapere che le voci più critiche e documentate a sostenere questa tesi sono quelle di altri immobiliaristi. È l’ennesima faida tra imprenditori, scenario tipico dell’Italia in declino. Una rissa dalle radici antiche che non aiuta a distinguere il pulito dallo sporco. Un gioco di specchi in cui ogni verità viene facilmente ribaltata. Così può capitare che Paolo Berdini, ex assessore all’Urbanistica ingaggiato sei mesi fa dalla sindaca sulla base di un curriculum immacolato, di una vita spesa nella battaglia competente e coraggiosa contro i palazzinari, venga sospettato dentro lo stesso M5S di intelligenza col nemico, dove per nemico deve intendersi qualche signore del cemento ostile al Parnasi dello stadio. L’indiziato numero uno è Francesco Gaetano Caltagirone, detto Franco, 74 anni, talmente ricco e potente da essere chiamato “ottavo re di Roma”. La sua arma letale Il Messaggero, storico quotidiano della Capitale. L’ha comprato vent’anni fa dalla Montedison di Enrico Bondi, liquidatore dell’ex impero di Raul Gardini. Negli stessi mesi del 1993 Gardini si uccise con un colpo di pistola nel suo appartamento milanese di piazza Belgioioso, Caltagirone fu arrestato per un’inchiesta su presunte tangenti per la metropolitana di Roma. Una vicenda dalla quale è uscito indenne ma che, secondo molti conoscitori delle dinamiche del potere capitolino, lo convinse a dotarsi di un giornale, a scopo difensivo. Come gli Agnelli e i De Benedetti. Ma si sa com’è la vita, una pistola comprata per difendersi può far venire la tentazione di usarla per offendere. Poi magari non è vero, ma certo se uno si presenta con il pistolone nella fondina non ti mette a tuo agio. E così il mondo dei palazzinari romani si è diviso da quel giorno tra chi aveva un giornale (Caltagirone e Domenico Bonifaci editore del Tempo fino a pochi mesi fa) e chi non lo aveva (tutti gli altri). Tanto che Parnasi a un certo punto ci provò con Il Romanista, giornale con tratti sofisticati per tifosi giallorossi, ma senza fortuna. E così chi non ha un giornale si lamenta delle angherie che ritiene di subire dal Messaggero. Angherie non solo ingiuste, ma addirittura persecutorie. Si lamentano i fratelli Pierluigi e Claudio Toti, titolari della Lamaro, società di costruzioni di un qualche lignaggio, che non riescono a sbloccare lo sviluppo immobiliare degli ex Mercati Generali, progetto che andava forte fino a Ignazio Marino e si è arenato sulla scrivania di Berdini. Non si sentono spalleggiati a sufficienza dal quotidiano controllato dal potente collega. Si lamenta Manlio Cerroni, ras della monnezza, signore di ogni discarica che mantiene un ferreo controllo sui rifiuti capitolini nonostante i 90 anni e le reiterate grane giudiziarie. Si sente supportato dal Tempo ma non dal Messaggero. Ma il caso di Parnasi è il più romanzesco. Quarantenne, palazzinaro di seconda generazione, e quindi non più palazzinaro ma immobiliarista, o meglio ancora sviluppatore, laureato, brillante, il promotore del nuovo stadio della Roma paga il prezzo della ruggine che separava Caltagirone e suo padre. Sandro Parnasi, il fondatore, nasce artigiano e diventa costruttore e “sviluppatore”. Comunista, come Alfio Marchini, nonno del nipote omonimo battuto da Raggi alle ultime comunali, negli anni ’80 rileva il gruppo Marchini, pochi anni dopo un colosso immobiliare come Sogene. Cresce, diventa un big ma lavora sotto traccia, non si espone, resta sconosciuto ai più. Dice la leggenda che un giorno ha soffiato un lucroso affare a Caltagirone, si parla di palazzi comprati (o venduti, chissà) a enti previdenziali a un bel prezzo. Luca Parnasi non era ancora nato, Sandro Parnasi è morto sei mesi fa. Solo Caltagirone sa la verità. Fatto sta che pochi ritengono casuale il sostegno entusiasta al progetto Olimpiadi contrapposto alla critica feroce allo stadio di Tor di Valle. Chi conosce Caltagirone sa che l’ottavo re di Roma è profondamente e sinceramente convinto che i palazzinari – un tempo colleghi ma che oggi guarda dall’alto in basso – siano gente per male che ha campato sulle spalle delle banche. Quando Luca Odevaine, imputato eccellente di Mafia Capitale, ha parlato ai giudici di tangenti pagate da Caltagirone per costruire in zona Bufalotta, la reazione è stata giustamente sdegnata e puntigliosamente velenosa: “La convenzione urbanistica Bufalotta è di proprietà dei gruppi Parnasi e Toti; il Gruppo Caltagirone ha costruito alcuni fabbricati residenziali nel quartiere acquistando le aree dai suddetti gruppi” Caltagirone è anche azionista importante di Unicredit, dove il figlio Alessandro lo rappresenta in consiglio d’amministrazione. Così accade che Sandro Parnasi si trova un giorno esposto ai venti della crisi e al crollo del mercato immobiliare con una serie di ambiziose operazioni che restano a metà del guado. E che Unicredit, che ha ereditato da Capitalia centinaia di milioni di esposizioni con il gruppo Parsitalia, chiude i rubinetti. Si chiama ristrutturazione del debito, viene firmata il 20 luglio 2016, il 27 luglio Sandro muore. A Luca non resta niente, Unicredit si è presa tutto. Ma Eurnova, la società che ha comprato i terreni di Tor di Valle per il nuovo stadio e i tre grattacieli disegnati dall’archistar Daniel Liebeskind, è di Luca Parnasi e non c’entra niente con le rovine dell’impero paterno chiamato Parsitalia. Così si scopre che, contrariamente a quanto si racconta, Unicredit non ha nessun interesse al buon esito della partita dello stadio. Un altro dolore per Caltagirone.

(Il Fatto Quotidiano – G. Meletti)



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