A 87 anni dalla sua nascita, Campo Testaccio, culla e prima sede della Roma, è ridotto a una sorta di bosco selvaggio pieno di rifiuti, ratti e bisce. Oltre che rifugio per sbandati e senzatetto, che hanno occupato gli spogliatoi semidistrutti e i piccoli container lasciati dal Consorzio Romano parcheggi, la società che secondo l’ordinanza comunale n. 234 del 13 novembre 2009 avrebbe dovuto realizzare in 18 mesi sotto l’area di gioco uno spazio da 265 posti auto, da gestire per 90 anni, al costo di un milione di euro, garantendo però a fine lavori il ripristino del campo di calcio e anche la realizzazione di due campi da calcetto.

«E’ una vergogna che il campo resti così», dice Rita Brandi, avvocato e portavoce del Roma Club Testaccio. «Abbiamo raccolto oltre 2 mila firme a sostegno del nostro progetto ecosostenibile di recupero del campo che oltre a quello di calcio ne prevede uno per la pallacanestro e anche un’area per le colonnine elettriche di ricarica dei mezzi. Vorremmo che fosse il Municipio a gestirlo, perché resti pubblico. Abbiamo tutto pronto, ma agli amministratori non interessa. L’avevamo presentato a Marino, è stato depositato al Gabinetto del sindaco e protocollato nel giugno 2015, ma non abbiamo mai ricevuto risposte».

Alessandro Ciancamerla dell’associazione «Riprendiamoci Campo Testaccio» conferma: «L’area dovrebbe essere messa a bando dal Comune, ma probabilmente sarebbe antieconomico, con costi troppo alti per i privati, visto la situazione ormai degradata dell’area. Però qualcosa bisogna fare». Aggiunge Marzio Ciaralli, di «Testacciointesta», associazione che pubblica anche un giornale rionale: «Finchè il Comune non deciderà cosa fare del campo, possiamo solo aspettare. Secondo noi dovrebbe diventare un polo sportivo, che al momento a Testaccio non c’è. Non solo per il calcio, ma anche e soprattutto la pallacanestro che nel rione ha una lunga e importante tradizione. Ma può andare bene tutto, l’importante è non lasciarlo in questo degrado così mortificante, se ne potrebbe fare anche un parco pubblico».

Inaugurato il 3 novembre del 1929, già nel 1940 fu smantellato perché ritenuto troppo piccolo e insicuro. Il resto è storia di oggi, con gli alberi cresciuti in fretta fra i rifiuti. “E’ una storia che non conosco a fondo – spiega Paolo Berdini, attuale assessore all’Urbanistica –. Ma prometto di studiarla prima possibile per dare una risposta ai cittadini”.

(Corriere della Sera)



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