Come il pendolo di Focault, libero di oscillare in ogni direzione per molte ore, sulla costruzione dello Stadio giallorosso a Tor di Valle — all’incirca 700 mila metri cubi di business park, al netto dell’impianto sportivo — il M5S ondeggia pericolosamente fra il sì e il no a seconda dell’umore del capo. Perché, se prima dello sbarco in riva al Tevere, Beppe Grillo aveva spinto il piede sull’acceleratore, facendo promettere a Di Maio e Di Battista «si farà», per poi ribadirlo egli stesso nelle prime 48 ore di trasferta romana, ieri di fronte alla rivolta dei consiglieri capitolini decisi a mandare a monte «la grande colata di cemento» (copyright Roberta Lombardi), il garante ha impresso una brusca frenata e cambiato linea. «Questa non è una mia decisione. La risposta la daranno Virginia e il consiglio», aveva alzato le mani Grillo in mattinata, «quel che so è che si sta andando verso delle cautelative che sta prendendo la Raggi per il Comune perché la situazione è un po’ complessa: lo stadio rappresenta il 15% delle cubature e l’85% sono altre cose. Virginia farà una dichiarazione fra uno o due giorni». Per poi modificare la rotta di nuovo a sera, al termine del lungo incontro con la maggioranza cinquestelle in Campidoglio, allorché ha intonato il requiem sul mega complesso alla periferia sud di Roma: «Nessuno è contrario, c’è una discussione sulla collocazione, sulla zona», s’è corretto per l’ennesima volta Grillo. «A Tor di Valle c’è un rischio idrogeologico, nessuno dice di no, noi diciamo di sì allo stadio, ma da qualche parte che non sia quella, perché se poi c’è un’esondazione». Un epitaffio che sa di excusatio non petita rispetto al rischio reale di doversi rimangiare la parola per l’ostilità degli amministratori locali. Il disperato tentativo di trovare una via d’uscita al cul de sac in cui lui e il Movimento si sono infilati.
Il comico genovese sa bene che la strada indicata non è percorribile. Significherebbe buttare all’aria anni di studi e di perizie, oltre ai 60 milioni già spesi dalla Roma e dal costruttore Luca Parnasi per istruire il dossier, facendo affidamento sulla delibera di pubblica utilità varata nel 2014 dalla giunta Marino. Le fondamenta su cui appoggia la conferenza dei servizi, in scadenza il 3 marzo. Che dovrebbe dunque ricominciare da zero qualora si dovessero apportare modifiche sostanziali. E infatti «dopo 5 anni di lavori su un progetto in stato avanzato di approvazione nel rispetto di leggi, regolamenti e delibere, non è in alcun modo ipotizzabile un sito alternativo a Tor Di Valle», chiudono a stretto giro i proponenti, pronti a chiedere un miliardo di risarcimento danni. «L’area è sicura dal punto di vista idrogeologico e anzi il progetto, con investimenti totalmente a carico dei privati, va a sanare il rischio idrogeologico presente nel quartiere limitrofo di Decima». Ancora più esplicito James Pallotta, patron della società giallorossa: «Ci aspettiamo un esito decisamente positivo dall’incontro in programma venerdì. In caso contrario, sarebbe una catastrofe per il futuro della Roma, del calcio italiano, della città di Roma e francamente per i futuri investimenti in Italia». Un vertice, quello di domani a palazzo Senatorio tra la giunta Raggi e i proponenti, cui restano ancora appese le ultimi esili speranze di trovare comunque un accordo. Esattamente la linea individuata dalla sindaca, prima che Grillo apponesse la lapide sul progetto. Ovvero, prendere ancora tempo, chiedendo un ulteriore parere all’avvocatura comunale per calcolare i rischi dello stop sollecitato a gran voce dai consiglieri cinquestelle. Così da arrivare all’incontro di domani con tutti gli elementi a disposizione per valutare la controproposta sulla limatura delle cubature che la Roma e Parnasi avevano promesso di portare al tavolo. Una revisione complessiva dell’accordo, che però ieri sera Grillo ha mandato in fumo.
(La Repubblica – G. Vitale)
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