Architetta, la soprintendente Eichberg ha avviato la procedura per porre sotto tutela l’Ippodromo di Tor di Valle, una delle opere più famose di suo padre Julio, costruita nel 1959 per le Olimpiadi del 1960. «Sono molto soddisfatta» risponde Clara Lafuente, che nei cassetti conserva ancora i vecchi scatti di cantiere del papà giovanotto in bilico su pilastri e pensiline. «Questo edificio era diventato un fantasma che non veniva più nemmeno nominato. Invece ora finalmente si ricomincia a parlare di architettura».
Secondo lei ci sono le possibilità di conservarlo inglobandolo nel progetto dello stadio?
«Avevamo anche proposto che le tribune dell’Ippodromo fossero utilizzate per i campi di allenamento che sono previsti nell’area».
E quale è stata la risposta?
«Non abbiamo ricevuto alcuna risposta. Purtroppo in questi anni il progetto dello stadio non è mai stato riconsiderato, pur se sono state individuate tante criticità, e dà centralità ai famosi grattacieli, mettendo in posizione marginale l’impianto sportivo».
Si aspettava questa decisione in zona Cesarini della soprintendenza?
«Non me l’aspettavo, ma era auspicabile, anche perché il sovrintendente comunale Claudio Parisi Precicce il 18 gennaio aveva dato parere favorevole al progetto dello stadio, con la prescrizione della valorizzazione delle tribune dell’ippodromo, attraverso il loro riposizionamento in un luogo adiacente».
Dunque l’intenzione era di smontarle e rimontarle?
«Sì, soluzione totalmente insensata, essendo delle grandissime strutture in cemento armato».
Qual è la caratteristica che rende unica l’opera di suo padre, che è anche il progettista dell’Air terminal dell’Ostiense, ora sede di Eataly, e del palazzo della Esso sulla Roma-Fiumicino?
«Le tribune sono il più grande “paraboloide iperbolico” della storia dell’architettura. È una forma geometrica di una considerevole arditezza e sperimentalità che consente degli immensi aggetti, quelli delle tribune, che si poggiano solo su un pilastro».
Lei ha avuto contatti diretti con il club giallorosso?
«No, ho cercato di contattare il costruttore Parnasi, ma non ho avuto riscontro».
Suo padre l’ha mai portata a visitare l’Ippodromo?
«Sì, ricordo una struttura smisurata. Io ero bambina. E mi meravigliavo davanti a quelle altissime vetrate sul retro che ruotavano verticalmente. Ma nel tempo sono stati aggiunti dei corpi ed è in uno stato di forte degrado anche per queste alterazioni».
Dunque avrebbe bisogno di un restauro conservativo?
«Senz’altro sì. Con il ripristino dell’aspetto originario».
Come andrà a finire?
«Speriamo bene, nel senso che si faccia un intervento di qualità che comprenda la rimessa in funzione delle tribune, magari per un campo di allenamento».
Dunque è favorevole allo stadio?
«Non sono contraria a priori, penso che vada fatto con un buon progetto».
Ma il vincolo interesserebbe anche le aree intorno.
«Non sarebbero inedificabili, le costruzioni avrebbero solo delle limitazioni in altezza»
(La Repubblica – P. Boccacci)
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