L’addio di Walter Sabatini alla Roma ha sollevato grande clamore e grande curiosità. E anche parecchio, fumo, considerato il personaggio. Per me sinceramente abbastanza incomprensibile: stiamo pur sempre parlando di dirigenti, che per quanto importanti e protagonisti – e salvo pochissime eccezioni – dovrebbero pur sempre avere un ruolo unicamente di servizio rispetto alla vita del club stesso. Anzi secondo me i dirigenti di club con eccessivo potere – ma qui non parlo di Sabatini – non sono mai cosa troppa buona. E chiudiamo qui la parentesi.

Giocatori, allenatore, presidente: il calcio per me è sostanzialmente un triangolo, e un dirigente è soprattutto un’emanazione del presidente. Però vedo che l’addio di Sabatini ha suscitato grandi sorprese, acceso discussioni, rimesso in discussione certi rapporti: ci è andato di mezzo pure Totti pensa un po’. E così via. Ma insomma per me questo è solo un polverone che si diraderà presto.

Ecco, detto questo, per me oggi Walter Sabatini – su diretta emanazione immagino del suo presidente – rappresenta un tipo di calcio che non mi piace e non condivido. Protagonisti che hanno scambiato il calcio per la Borsa e il calcio mercato per il trading azionistico. Un circo di centinaia di giocatori che entrano ed escono da un club, non tutti per ragioni strettamente tecniche, ma per il semplice fatto che il giocatore oggi, in Italia, è come un’azione da comprare a 5 euro e rivendere quando ne costa 6 o 7. O sei hai fortuna 10 o 12. Così diventa tutto aleatorio, quasi una scommessa. Il gioco della Borsa appunto, c’è chi ci si arricchisce e chi ci si rovina. La Roma ha decine di giocatori giovani che sono stati venduti unicamente perché facevano cassetta, e che oggi avrebbero potuto essere il suo futuro, se solo non ci fosse stata questa frenesia della plusvalenza.

I direttori sportivi oggi vengono “misurati” a seconda di quante plusvalenze hanno fatto: 10, 15, 20, 50 milioni. Il ds della Roma – leggo – ha portato 130 milioni di plusvalenze e fatto salire il valore della rosa a 192 milioni. Ma la Roma è una banca (per altro comunque in passivo) o una squadra di calcio? Persino i tifosi ormai ragionano in questa maniera. Come se il fine principale di una squadra sia quello di scambiare giocatori a decine ogni anno. E non puntare invece su un gruppo fisso su cui inserire ogni anno uno/due giocatori possibilmente di prestigio: come puoi pensare di vincere, se ogni stagione ricominci da capo? Francamente è già difficile e spesso assai poco comprensibile vendere e comprare giocatori. Ma che il calciomercato diventi il fine e non solamente il mezzo francamente mi sembra troppo.

(La Repubblica – F. Bocca)



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