AS ROMA NEWS INTER MOURINHO – Puoi togliere l’Inter a José, ma mai José dall’Inter. Puoi non vederlo più alla Pinetina, certo. Ma è impossibile che ad Appiano, a Milano, a Como, nel cuore di ogni tifoso dell’Inter non ci sia almeno un centimetro quadrato riservato a Mourinho. Torna Mou e San Siro si veste a festa: per lo scudetto, certo, ma pure per omaggiare l’amico di sempre, l’uomo dei sogni. D’argento e di cristallo è la miniatura di San Siro che l’Inter gli ha regalato a febbraio, quando si riaffacciò per la prima volta. D’oro, invece, è la sua eredità, scrive La Gazzetta dello Sport.
Un primo esempio? Oggi l’ufficio dell’allenatore ad Appiano è esattamente nel luogo in cui lo fece posizionare, spostandolo, Mourinho all’inizio del suo biennio. José viveva la Pinetina, non ci lavorava. Nel secondo anno praticamente si era trasferito nel centro sportivo, lasciando moglie e famiglia a godersi la villa di Como.
Mou amava controllare tutto. Per dire: dalla palestra, allora, non si vedeva quel che accadeva nei campi. Bene: lui fece abbattere la siepe, così da poter tenere d’occhio sempre tutto, dall’esterno verso l’interno e viceversa. «Aveva il pieno dominio della Pinetina, di me si fidava – ricorda Antonio Santoro, allora responsabile della gestione del centro sportivo -. Limitò gli accessi, prima di lui i calciatori venivano avvicinati da troppo persone. Fu il primo ad alzare i teloni per evitare che gli allenanti fossero spiati da giornalisti e osservatori avversari. Raccontava le barzellette, ma erano sempre le stesse, solo che nessuno aveva il coraggio di dirglielo. Se litigavi con lui, il primo giorno era meglio lasciar stare, dal secondo poi si tornava a ragionare. Quante volte ho fatto da mediatore tra lui e Maicon, lui e Julio Cesar, lui ed Eto’o…».
La Pinetina è stata la culla del Triplete. In giro per il mondo ci sono Inter club dedicati a José un po’ ovunque. Ce n’è uno pure a Ciampino, mescolato tra i romanisti che allora lo vedevano come principale rivale e oggi hanno imparato ad amarlo. San Siro ha già omaggiato José a febbraio, lo farà anche sabato. Oggi tra i tifosi c’è pure Angelo Beninati, dal 1982 e per 36 anni cameriere ad Appiano. «Ricordo il primo giorno di José alla Pinetina. Si presentò, ci disse “qui siamo tutti uguali, lavoriamo per lo stesso obiettivo, siamo una squadra”. Mi colpì, fu davvero così. Minimizzava ogni problema: se un calciatore si lamentava per un piatto, la sua preoccupazione non era rimproverarci ma capire cosa fosse successo. Adorava i gamberoni, ma non aveva un menu dedicato».
E ancora: «Primo giorno, vide noi dello staff pranzare in un tavolo diverso dal suo – ricorda Andrea Galli, allora fisioterapista nerazzurro -. Ci chiese “Ma voi mangiate qualcosa di diverso?”. Noi rispondemmo di no. “E allora venite a tavola con me”. Questo, proprio nei giorni in cui da fuori veniva dipinto come un mostro. Una volta si mise alla guida del piccolo bus che portava noi dello staff all’aeroporto, un’altra lo trovai in mezzo ai pazienti del mio studio a Como: “Che ci fa qui, mister?”. E lui: “Sono solo venuto a salutarti”. A Los Angeles, in ritiro, concesse un giorno di libertà senza fissare orario di rientro. La settimana dopo replicò. Non andò via nessuno: era più divertente stare in piscina con lui».
Ad Appiano, del gruppo squadra di José, è rimasto qualche protagonista. Javier Zanetti, capitano di allora, oggi è vicepresidente. Piero Ausilio, ex responsabile del settore giovanile ma già a contatto con la prima squadra con Mou, ora è il direttore sportivo. E poi Christian Chivu, che allora lottava col caschetto protettivo e oggi guida la Primavera. Ad Appiano c’è ancora Luigi Crippa, responsabile della comunicazione sportiva del club. E poi Marco Dellacasa, fisioterapista che cura i muscoli di Lautaro come quelli di Milito, il responsabile della sicurezza della squadra Claudio Sala, il magazziniere Laiso, l’assistente Bernazzani (oggi con i giovani).
José viveva a Como, nella splendida Villa Ratti. A Milano frequentava ogni tanto l’Osteria del Corso, i figli andavano a scuola in Svizzera. Ma il suo (e dello staff) quartier generale era il Melia di San Siro, sede ogni tanto dei ritiri prepartita. Il responsabile dell’hotel era Alessandro Misani: «Mi volle sul bus con la squadra dopo lo scudetto. E poi: andai a Barcellona in Champions l’anno del Triplete. Ma la gara del girone, dove perdemmo malamente. José allora mi vietò di continuare a seguire la squadra all’estero. Mi regalò una bottiglia di vino portoghese prima degli ottavi: “Durante la partita bevi questa”. Eseguii: vincemmo, io mi ubriacai, andammo ai quarti, E così, stessa scena, per i quarti col Chelsea e poi col Barcellona: ubriaco, ma qualificato. Prima della finale mi disse: “Questa puoi venire, è campo neutro”. Mi regalò 30 biglietti». Oggi Alessandro è direttore operativo di tutti i Melia: «Mi sa che sabato passo a trovarlo, prima della partita. Allo stesso hotel? No, in quello è andato a febbraio. Ma ha perso, così ha cambiato…». È sempre il solito Mou.
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