Edin Dzeko

(Il Messaggero – S. Carina) Dzeko stralunato, Nainggolan irriconoscibile e compassato, Florenzi tramortito, Strootman nervoso (per due volte, sempre al termine dei due tempi, ha mostrato segnali d’insofferenza nei confronti del pubblico che fischiava), Manolas incredulo. Il volto della Roma in campo è il loro. Il loro, inteso come squadra, che per la prima volta dopo tanto tempo (bisogna tornare ai tempi di Garcia) è tornato nel mirino di critica e tifosi. Perché paradossalmente il ko con la Sampdoria ci può stare. Quello che invece ha dato fastidio, domenica sera, è stato l’atteggiamento tenuto dal gruppo che è sembrato a più riprese un pungiball nei piedi dei vari Zapata, Ramirez e Caprari, ai quali soltanto Alisson ha cercato di frapporsi. Un’involuzione fisica, tecnica, probabilmente legata anche alle motivazioni. Quasi che la Roma si sia spenta all’improvviso. In questi casi, tutte le ipotesi sono lecite. Anche quella, ad esempio, di uno spogliatoio che per la seconda volta – nel giro di poche settimane – non ha gradito le considerazioni pubbliche di Di Francesco. Alle parole del tecnico sulla sosta della vigilia («dove magari l’attenzione di tutti i ragazzi non c’è stata»), è seguita la replica di Florenzi nel post-gara: «Il mister ha espresso un pensiero, qui però siamo tutti professionisti». Il rischia-tutto di Eusebio è stato molto pericoloso. Già alla vigilia del match con l’Atalanta (5 gennaio), presentandosi in conferenza stampa con tre foglietti di cifre e statistiche per difendere il proprio lavoro dopo il dicembre nero, aveva creato – suo malgrado – un primo solco con la squadra. L’intento era diverso (ossia dimostrare che la Roma era comunque in salute e che i risultati dipendevano da un momento di scarsa lucidità sotto porta) ma il messaggio che ne è uscito all’esterno è stato terrificante. Della serie: il modulo e i miei metodi non si discutono, cerchiamo (anzi, cercate) di applicarli meglio.

DIFFIDENZE E INCOMPRENSIONI – Di colpo, sono tornate a galla tutte le diffidenze iniziali che erano state spazzate via dai risultati. Non parliamo di anni fa, ma semplicemente di 56 giorni (5 dicembre). Le voci di mercato, poi, hanno fatto il resto. Dzeko – al netto del gol segnato mercoledì scorso a Marassi – ha vagato in campo nelle ultime due partite. Inevitabile, anche per un professionista come il bosniaco, che si è visto protagonista all’improvviso di una trattativa a metà stagione, con un ottavo di Champions da disputare, una qualificazione alla prossima Champions da conquistare e una città che non voleva lasciare. Discorso simile per Nainggolan. Il fatto che l’Evergrande abbia fatto un passo indietro e non abbia trovato l’intesa con la Roma, non cancella che anche Radja abbia vissuto con difficoltà queste ultime settimane (dove sta giocando, tra l’altro, portandosi dietro il solito problema al polpaccio). Avversità acuite dalla sua bravata a Capodanno. «L’importante è entrare nella testa dei giocatori», asseriva raggiante Eusebio dopo aver ottenuto il pass per gli ottavi. Quello che non si aspettava, è che bastasse un nulla per uscirne. Anche perché alle parole, si sono poi sommati gli infortuni a catena e le ricadute (sono ormai 19 i ko muscolari, l’ultimo è quello di Schick: out altri 15-20 giorni); le incomprensioni tattiche (posizione di Nainggolan, l’inserimento dell’attaccante ceco); le metodologie di lavoro (non sempre condivise); i regolamenti (giustamente) rispettati (Nainggolan e De Rossi); lo spessore dei big in alcune scelte con esclusioni e sostituzioni a volte difficilmente spiegabili (il più penalizzato, da tempo, è Pellegrini).



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