Al fianco di specialisti senza tempo come Edin Dzeko, improvviso capocannoniere del campionato dopo che in estate la Roma l’aveva offerto a mezzo mondo, è tutto un ribollir di eclettici, di apolidi. L’eclettico è il giocatore capace di occupare più ruoli. L’apolide, viceversa, colui che non ha ruolo.
Fu negli anni Settanta che la rivoluzione di Rinus Michels e Johan Cruijff ci buttò giù dal letto. Al potere andò la versatilità. Alessandro Florenzi, nel suo piccolo, ne incarna il pensiero forte, «insostituibile» per Luciano Spalletti. Sa fare più ruoli: il terzino, l’ala, il terzino-ala, la mezzala. E a 25 anni (dettaglio che non guasta) persino il cannoniere. Si ricordano un paio di gol. Quello parabolico e chilometrico, di pazzesca bellezza, al Barcellona; e quell’altro, in rovesciata, al Genoa. Luis Enrique lo marca stretto, e pure la Juventus lo tiene d’occhio. Non è un asso, Florenzi: ha accettato il rischio di ridursi a un generico, rischio feroce, in agguato dietro ogni esperimento, ogni lavagna. L’ha superato.
E Mohamed Salah? Sembrava un’ala per la velocità che sprigionava e sprigiona tutt’ora. Invece ala non è. Non è una punta pura, e nemmeno un centravanti. È un attaccante senza fissa dimora che sente la porta più di quanto la veda, o gliela indichino l’istinto, la frenesia, il dribbling. Fino al momento del tiro, assomiglia a Cristiano Ronaldo, poi, all’atto dello sparo, «torna» Salah: un corridore troppo caldo per poter essere un cecchino abbastanza freddo.
Nel calcio l’assoluto non esiste. Osvaldo Bagnoli, che diede al Verona un romanzesco scudetto, era dell’idea che il terzino dovesse fare il terzino, il mediano il mediano e così via. Pep Guardiola, al Bayern, confessò di essersi inventato Philipp Lahm interno perché erano tutti infortunati. La competenza e l’emergenza. Il fatto e il fato.
(Gazzetta dello Sport)
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